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Cultura e Spettacolo
L'uomo si è evoluto stando seduto a tavola
Oggi 23-12-25, 12:34
Dice la Genesi (1:29) che Dio mise il cibo nell’ordine della creazione. Toccava a noialtri bipedi, a quel punto, procurarcene così da sfamare noi stessi, la donna nostra e la prole. E così accadde che l’uomo, erbivoro e preda per natura, maturasse a onnivoro diventando perciò predatore. Fornendo così materia prima per quella che sarebbe diventata la dimensione biologica e insieme sociale e comunitaria del nutrirsi, L’agape fu il motore della comunità. Mangiare insieme intorno al fuoco chiacchierando, ridendo, girando in cerchio, magari pure litigando, favorì il costituirsi di una dimensione sociale e comunitaria del cibo latrice di civiltà reale. La necessità di alimentarsi, insomma, contribuì «a renderci ciò che siamo in quanto specie», differenziandoci nettamente dagli altri animali, scrive Jenny Linford nel suo Nutrirsi. Storia di un gesto umano (Einaudi, 256 pagine (50 euro). Quella della Linford è una storia mondiale del cibo raccontata attraverso i reperti e gli oggetti di cui non è avaro il prestigioso British Museum di Londra. Per metterla nero sui bianco, la studiosa si è avvalsa della collaborazione degli esperti curatori del museo londinese con i quali ha anche dotato il libro di un apparato iconografico notevole. COME L’ITALIA NESSUNO Ne è scesa una narrazione del nutrirsi dalla quale emerge come, al bisogno di alimentarsi, l’uomo – di millennio in millennio- abbia risposto con grande ingegnosità. Ma se questo bisogno accomuna tutti gli uomini, ciò che mangiamo e come, muta a seconda del contesto, del clima e delle norme sociali. Linford è una scrittrice londinese specializzata nel food writing (dicesi food writing apprendiamo da Google un genere letterario e giornalistico che esplora il cibo in tutte le sue sfaccettature, da ricette e recensioni a memorie, storie culturali e politiche) e si è appassionata alla materia crescendo a Singapore ma soprattutto in Italia, dove la cucina è espressione profonda di identità, tradizione e socialità come in nessun altro posto al mondo. L’autrice ha sezionato la sua ricerca in macrocategorie: caccia, pesca, agricoltura, viaggi e commerci, bevande alcoliche, conservazione, trasformazione, feste e cottura. Un metodo d’indagine che le ha permesso di raccontare di quale e quanta infinità di ricette grondi la storia della tavola ma soprattutto di indagare, dal punto di vista dell’antropologia culturale, sui modi in cui gli esseri umani si sono nutriti nel corso dei millenni. Gli Inuit, per dire, popoli indigeni delle regioni artiche e subartiche del Nord America. Il loro approccio alla caccia (si nutrono di mammiferi marini) e alla pesca coniuga la crudeltà della predazione al rispetto profondo, in un’ottica animista, dell’animale catturato. A tale proposito risultano assai esplicative le preziosissime testimonianze materiali e simboliche offerte del museo londinese con il giaccone da caccia in pelle di caribù decorato con le rotte migratorie dei caribù stessi, a donare al cacciatore la forza e la capacità di orientamento dell’animale; oppure la scatola a forma di balena che custodisce le preziosissime punte per la caccia al cetaceo. A proposito di oggetti. Ecco il vaso in ceramica dei Moche del Perù con scolpita una testa di cervo e rappresentate scene di caccia. Eppoi ancora ceste per la raccolta di preziosa manifattura e i tanti materiali che rispecchiano i diversi ambienti di provenienza: il rizoma del Camerun, la corteccia di betulla del Nord America, il rattan del Borneo, la fibra vegetale del Queensland australiano e via così. Poi ci sono i pesci, freschi ma soprattutto essiccati (il merluzzo, per dire del più noto) che dominano l’iconografia attraverso i secoli e il cui trattamento, l’essiccazione appunto, oltre a conservarne commestibilità e proprietà nutritive, per secoli è stato garanzia d’adesione a determinati principi religiosi (il divieto di mangiar carne al venerdì per la religione cristiana). Suggestiva, poi, l’immagine del pescatore scolpita nella pietra delle pareti del Palazzo di Ninive del re assiro Sennacherib (700 anni prima di Cristo); ma pesci essiccati sono scolpiti anche nei netsuke, piccole sculture giapponesi tradizionali, considerato che il katsuobushi è un ingrediente indispensabile nel dashi, il brodo giapponese. SALE E TASSE La Linford racconta anche dell’uso inconsueto di certi ingredienti da cucina. Il sale, per esempio, che veniva utilizzato in Etiopia non solo come moneta di scambio ma anche per pagare le tasse e le multe o utilizzandolo in cambio di merci. Si diceva dell’agape, del convito, del mangiare insieme come forma di interazione e comunicazione. Ecco allora i primi pasti all’aperto (protagonista un principe islamico), i banchetti notturni in Giappone per ammirare il plenilunio. Poi ancora le padelle gioiello, oggettistica pregiata per la tavola, le tazze d’oro per la cioccolata, i panettieri dell’Antico Egitto, le vecchie liste della spesa sulle tavolette d’argilla. Infine, un bento (contenitore usato per trasportare il cibo preparato da casa per il pranzo), made in Giappone, in legno laccato del Sette-Ottocento, con gli scomparti destinati al riscaldamento dell’acqua e quelli per conservare il cibo, cura dell’anima.
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