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Massimo Giannini, l'incontenibile astio per la destra
Oggi 11-10-25, 14:20
Discorsi d’odio: chi li ha visti? Sono tutti immacolati i giornalisti progressisti, tutti lì a mettere le mani avanti e a spiegare che la Bestia mica l’hanno inventata loro. Corrado Augias, per esempio, si limita a qualche punturina di spillo: «Mica faccio caso al fatto che Meloni parla in dialetto». Il che tradotto vuol dire: è una cafona. Giorni fa ho letto su un autorevole quotidiano un commento in cui si parlava dei giornalisti di destra come “servi” della comunicazione meloniana. Tutto ok? Ma certo. C’è di peggio. E il peggio arriva sempre dai progressisti “credenti”. Quelli che Ivo Germano immaginava nel suo gustoso pamphlet #Quartierinogauchecaviar: Svegliarsi e guardare dritto dritto l’orizzonte della propria coscienza, interrogata, ammonita, attraversata vulcanicamente da solidarietà e vigilanza. Dove la vigilanza è quella antifascista, come ti sbagli. Ecco allora una perla di Massimo Giannini in versione premurosa Donna Letizia su Il Venerdì. Un lettore se la prende con La Russa con la solita storia del busto di Mussolini e poi cita il presidente del Senato che ha difeso il simbolo della Fiamma in quanto icona di libertà e di amore. La Russa lo ha detto alla festa dei giovani di FdI. E le stragi? Chiede il lettore. E i Nar? E il fascista Concutelli? Insomma il “disonorevole La Russa” fa discorsi “divisivi” e semina “odio”. Dovrebbe vergognarsi. Risponde Giannini: «Pretedere che La Russa si vergogni è come chiedere a Meloni di celebrare il 25 aprile o a Salvini di rispettare i migranti, alla Rai di rinunciare a Insegno o a Mediaset di chiudere Il Grande Fratello, ai calciatori di non sputare... Non ce la possono fare». Prima di analizzare sommariamente la risposta di Massimo Giannini, che suona come “fanno troppo schifo per essere come noi”, è bene che la Fiamma era il simbolo del Msi, partito presente nel Parlamento italiano dalle elezioni del 1948 fino allo scioglimento al congresso di Fiuggi del 1995. Non era il simbolo di organizzazioni terroristiche, né la firma di stragi e delitti a sfondo politico. Era il simbolo scelto da tre milioni di italiani come risposta democratica e non eversiva allo spostamento a sinistra della Dc, al caos degli annidi piombo, alle azioni sanguinose delle Brigate Rosse (che nessuno osa accostare al Pci mentre i Nar, chissà perché, vengono accostati alla Fiamma). Era insomma il simbolo scelto da chi si sentiva di destra e aveva a disposizione in quello spazio politico solo il partito fondato da Romualdi e Almirante. Ecco: un altro giornalista avrebbe fatto queste doverose sottolineature. Ma Giannini no. Giannini preferisce il disprezzo. Che è esattamente la cifra ulteriore che nei discorsi d’odio verso l’avversario viene utilizzata a sinistra. Disprezzo, scherno, dileggio, spocchia, boria. Un esempio? Quanto ha scritto di recente su Ignazio La Russa il giornalista e scrittore Paolo Landi: «Quando vedo le foto di Ignazio La Russa che, seduto sullo scranno del Senato che presiede, legge La Gazzetta dello Sport aperta davanti a sé, resto scandalizzato... È solo il gesto vuoto, banale, che dice tutto del modesto orizzonte mentale di quest’uomo e della sua idea di potere. Nemmeno l’ultimo dei travet si permetterebbe di leggere il giornale in ufficio. E di carta, poi: un oggetto ormai quasi archeologico. Che lo faccia la seconda carica dello Stato mi sembra abominevole, qualcosa di più che una distrazione o un gesto innocuo: mi pare una mancanza di rispetto, verso l’istituzione e verso di noi cittadini. Mi disturba quel suo “sentirsi a casa”, in un luogo che non è casa sua...». Vi ricorda qualcosa? A me sì. Le parole di De Benedetti infastidito dal vedere la “faccetta” di Meloni nei corridoi di palazzo Chigi. «Ma tanto sono sicuro che andrà a sbattere», assicurava l’Ingegnere nel giugno 2023. Sono passati più di due anni. E ancora non appaiono rassegnati.
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