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Politica
Quanto può pesare il voto degli immigrati sulla politica italiana
Oggi 10-11-25, 11:56
La strategia della sinistra d’inizio millennio è strettamente brechtiana, nel senso che consiste nell’applicazione letterale di un notissimo aforisma paradossale di Bertolt Brecht. «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo». Il Comitato Centrale è nel frattempo trascolorato nel Soviet arcobaleno della Ztl, lungo la linea evolutiva Lenin-Mamdani, ma lo schema d’azione dei progressisti 5.0 pare analogo a quello della nomenklatura della Germania Est che il grande commediografo irrideva: se le classi popolari non condividono/votano la linea del Partito, si provvede a cambiare popolo, come blocco sociale di riferimento e anche proprio come popolo votante. È la nuova, magnifica opportunità dischiusa dalla globalizzazione, o meglio da quella sua degenerazione dogmatica detta globalismo, invariabilmente accompagnato dal suo fratello siamese, l’immigrazionismo acritico di massa. Questo micidiale cocktail ideologico, servito quotidianamente all’aperitivo radical, ha partorito la nuova linea programmatica: cambiare popolo, mutare la geografia, l’antropologia, la provenienza fisica e culturale del corpo elettorale. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44908866]] Non è un’ipotesi complottista, è un’agenda politica fattualmente sostenuta e rivendicata alla luce del sole, è la cronaca del nuovo vocabolario progressista. Lo disse chiaro e tondo nella campagna per il referendum Maurizio Landini, voce assai più performante della neosinistra estremista rispetto alla tardo-adolescenziale Elly: «Se noi vinciamo, tu avrai immediatamente il giorno dopo 2,5 milioni di persone che avranno il diritto alla cittadinanza che altrimenti non avrebbero avuto» (diritti elettorali in primis, ça va sans dire). Quel quesito fu poi bocciato dal popolo (ancora) italiano, ma la ratio landiniana è ad esempio la stessa all’origine della reiterata politica dei “porti aperti” durante tutti gli anni in cui ha governato il Pd, peraltro raramente per indicazione democratica del medesimo popolo. Unica eccezione: Marco Minniti, non a caso un esponente della vecchia scuola comunista non intrappolato nell’astratto lirismo inclusivista. La nuova scuola l’aveva già fondata Laura Boldrini, primo comandamento: «I migranti sono l'avanguardia di questa globalizzazione e ci offrono uno stile di vita che presto sarà molto diffuso per tutti noi». Su questa “avanguardia” valoriale ed elettorale oggi si costruiscono candidature mamdaniane in vitro (come sviscera diffusamente l’articolo di Alessandro Gonzato), si ritagliano ossessivamente programmi tutti imperniati sulla tutela aprioristica delle “minoranze” (che è il contrario dell’integrazione, è la targetizzazione fintamente buonista dell’offerta politica), si riscrive incessantemente la narrazione marxista di una società senza classi in quella multiculti di una società senza confini. È una battaglia di prospettiva chiaramente, ma è in corso, e oltre le Alpi possiamo già verificare dove conduce. Quello che il filosofo Pierre-Andre Taguieff chiamò per primo “islamo-gauchismo” è lì già la piattaforma onnicomprensiva della nouvelle gauche incarnata da Jean-Luc Mélenchon, una forma antagonista e ultraimmigrazionista di populismo che ha ormai rottamato il vetusto socialismo francese. E che è espressamente il modello di riferimento del “campo largo” sinistrorso e dei suoi aspiranti leader (da Landini giù fino a Elly e Giuseppi), i quali non a caso negli ultimi mesi si sono dedicati a rincorrere sistematicamente l’antagonismo terzomondista delle piazze ProPal. Sono i primi a sapere di non poter articolare credibilmente parole sul lavoro e la quotidianità degli italiani, e allora meditano di riciclarsi a cartello politico delle istanze in kefiah, sperando nel frattempo di moltiplicare le kefiah. È una distopia che il sociologo conservatore canadese Mathieu Bock-Côté ha battezzato “utopia diversitaria”, in luogo della novecentesca utopia egualitaria, e che si traduce in un culto dell’Altro purchessia, basta non il barbaro lavoratore italiano, europeo e occidentale, irrimediabilmente volgare e reazionario. Un deliro in poche parole, da cui potrebbero salvarci anzitutto gli immigrati attualmente regolari e soprattutto più prossimi culturalmente (a partire da quelli provenienti dall’Est europeo), che non sono giunti qui per trasferirsi in Eurabia e che non a caso nei flussi elettorali spesso non votano a sinistra. Sempre che non rimpiazzino anche loro, chiaramente. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44908854]]
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