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Politica
Roberto Fico, il retroscena: così può far esplodere M5s e campo largo
Oggi 22-10-25, 05:04
La filosofia del posteggiatore napoletano lascia secco Fico. «Sono tutte automobili, ma non sono tutte uguali; tra una Ferrari e una Panda la differenza c’è. Noi del popolo vogliamo votare qualcuno di meglio, non uno come noi. Roberto, un caro guaglione, ma...». Gianfranco Rotondi, che sfiderà il candidato del campo largo in Campania con una delle sei (o otto, il mistero sarà sciolto alla fine di questa settimana) liste a sostegno di Edmondo Cirielli, viceministro di Fratelli d’Italia, la vede così: «Napoli tiene la puzza sotto il naso; non solo a Posillipo, ma pure nei quartieri spagnoli. Quando mi candidavo qui, mi chiamavano l’avellinese, per prendere le distanze, a Milano non me l’ha mai detto nessuno». Roberto Fico sarà il detonatore delle tensioni del campo largo e di M5S. Se vince, iniziano i guai; se perde, è l’Apocalisse. Il fatto è che i grillini in questo primo giro di Regionali hanno fatto in media il 5% e ci sono tutti i segnali perché il Movimento arrivi quarto a sinistra, dietro Pd, lista De Luca e forse pure Avs. Questo significa che, nel caso, il presidente grillino sarebbe più molle del suo cognome: comanderebbe De Luca, un po’ da sé, un po’ per interposto figlio, che ha imposto a Elly Schlein come segretario regionale del Pd. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44652058]] LE CARTE DI FDI Per la verità da qualche giorno nel centrodestra serpeggia un disvelato ottimismo. Cirielli parte sotto di una quindicina di punti nei sondaggi, siamo nel regno di Antonio Noto, ma il fratello d’Italia conta di avere tre frecce al suo arco. La prima è la nobiltà dell’animo napoletano e l’alta considerazione che tutti, anche quelli dei bassi, hanno di se stessi. Anche al cuore più a sinistra sotto il Vesuvio fa impressione l’idea di consegnare la Regione a un profilo così debole. Politicamente poi, i dem non riescono a digerirlo, non lo sostengono, anche perché Schlein, per inseguire la sua ossessione testardamente unitaria, ha diviso il partito: i suoi, delusissimi, i riformisti, schifati, quelli che stanno con il sindaco Gaetano Manfredi, che è un po’ l’anti-Elly, e il segretario Piero De Luca, quinta colonna di papà. Cirielli batte sul chiodo di Fico candidato debole, che non ha mai lavorato. Gli ex grillini campani però sostengono che l’argomento su cui dovrebbe insistere il candidato del centrodestra non è quello, perché qualche elettore potrebbe sentirsi offeso e solidarizzare con Fico. Meglio puntare sul secondo asso, l’immagine di Roberto e Giuseppi i traditori del Movimento, di Grillo, dell’idea, del popolo, in nome delle poltrone. Agli elettori pentastellati campani è stato fatto per anni il lavaggio del cervello sul Movimento come il partito anti-casta, quindi anti-Pd. Nel settembre 2022, alle Politiche, personaggi del calibro di Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora ci hanno rimesso il seggio con questa storia e ancora vengono additati come quelli che hanno mollato Giuseppe Conte per sostenere Mario Draghi. E ora? L’avvocato del popolo e l’ex presidente della Camera vengono a patti con il Pd per restare in sella... Non è cosa. La terza carta è il mondo di De Luca che De Luca non riesce più a controllare. Nella provincia di Caserta c’è un esodo di decine di amministratori verso Forza Italia soprattutto ma in realtà verso il centrodestra in generale, l’assessore Nicola Capone è solo il caso. Il salernitano Cirielli è in campagna acquisti nella sua provincia e promette botti prima di chiudere le liste. Due ex sindaci di Avellino sono già passati nel centrodestra e lo sostengono. A Benevento, Clemente Mastella dice di no ma è tentato. Il voto disgiunto, in Campania si può scegliere una lista di sinistra per il Consiglio Regionale e poi un presidente di centrodestra, potrebbe regalare tre punti, che diventano sei se si calcola quanto togli all’avversario. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44641525]] Le difficoltà di Fico in Campania, l’altro giorno al suo appuntamento elettorale ad Agropoli si sono presentati in meno di dieci, ha già cominciato a sviluppare effetti negativi a Roma. Da giovedì iniziano i lavori per confermare Conte presidente e indicare i vice. I parlamentari pentastellati sono convinti che lo sfogo di Chiara Appendino sul «Movimento che ha perso l’identità ed è troppo subalterno al Pd» non sia una voce dal sen fuggita ma una mossa tattica. Un mettersi in mostra per un dopo Conte, se mai ci sarà; ma anche per un’eventuale sconfitta di Fico, improbabile al momento ma che certo non potrebbe passare senza effetti drammatici. L’ex sindaca di Torino è stata attaccata dai pretoriani del leader. Alessandra Todde l’ha rimproverata di fare male al partito. Paola Taverna ha detto più o meno che andrebbe cacciata. Difficile che venga confermata tra i vicepresidenti, ma per la verità Chiara neppure lo vorrebbe. Ha scelto di distinguersi. LA FRONDA INTERNA È quella che ci ha messo la faccia, ma non è isolata. Conte è un dittatore vendicativo, ma non ha un controllo totale del partito. In tanti sono silenti ma insoddisfatti. Stefano Patuanelli? Gaetano Pedullà? Nel campo largo i Cinque Stelle, se si vede la tendenza, sono destinati a perdere qualche scranno. In ogni caso tutti sanno che Conte resterà attaccato al Pd fino all’ultimo, perché vuole le primarie per il candidato premier, sapendo che è più gradito di Schlein perfino a molti elettori del Pd. Dall’uno vale uno all’uno vale tutti, il confine è sempre stato labile. Il clima nel M5S è da sempre pesante per chi è costretto a viverlo, come dimostra il fatto che ormai ci sono più grillini fuori che dentro. È a loro che Appendino, diventata sindaca contestualmente a Virginia Raggi, sta guardando. L’assemblea di ieri sera si è aperta con Conte che ha elogiato «il confronto interno, «è il fulcro del Movimento», ha dichiarato il capo politico, che poi però ha intimato ai suoi: «Ora basta parlare della Appendino».
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