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Senaldi: la Schlein si aggiudica il duello degli avverbi
19-03-2025, 09:27
«Il piano ReArm proposto dalla presidente della Commissione Ue va nella direzione di favorire il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato...». Bla, bla, bla, bla, bla. Ursula probabilmente non leggerà mai la risoluzione, di cui qui è riportato il passaggio più controverso, con la quale il Pd al Parlamento italiano l'ha bocciata, però i dem sono tutti contenti, dicono che il partito si è ricompattato, dopo la figuraccia della scorsa settimana a Bruxelles, dove metà di loro si era astenuta e l'altra metà aveva approvato il ReArm. E perché dovrebbe leggerla? Solo un matto presterebbe attenzione a una forza politica che un giorno si spacca tra il sì e il non so, rompendo sia con se stessa sia con il proprio eurogruppo parlamentare, e a distanza di una settimana trova unità sul no. Eppure i dem non vedono latrave piantata nel loro occhio, si concentrano sulla pagliuzza di cui si sono liberati. Per far festa gli basta aver ritrovato l'unità lessicale. La segretaria Elly Schlein e i suoi, che vorrebbero fare carta straccia del piano von der Leyen, chiedevano un cambiamento radicale. I riformisti, che pur con qualche perplessità lo avevano votato e tuttora lo sostengono, volevano un cambiamento profondo. Il derby degli aggettivi se lo è aggiudicato la leader, che rivendica il successo perché è passata la sua versione, non fosse che anche gli sconfitti dicono di aver vinto, perché per loro la richiesta di mutamento, per quanto radicale, è pur sempre segnale di un'accettazione profonda del principio. «Sono tutti matti», commenta un parlamentare storico dei dem, che si definisce indipendente. In effetti, ce n'è abbastanza per ipotizzare che la tregua tra Elly e i riformisti durerà meno di quella tra ucraini e russi. Per quanto sconclusionati, tutti i parlamentari del Pd, dopo ore di discussioni, si sono resi conto che presentarsi in Aula con una sola mozione condivisa era la sola possibilità per continuare a essere presi in considerazione. E la mozione non poteva che essere nella versione su cui Schlein si è impuntata, perché una segretaria non può essere sconfessata dal proprio partito su scelte di politica estera due volte in una manciata di giorni, pena la sua destituzione, che evidentemente nessuno per il momento vuole davvero, malgrado i tanti mal di pancia espressi. I QUATTRO CONTI DEL PD Il cessate il fuoco interno quindi, come quello in Ucraina, appare più che una scelta una necessità. Per quattro motivi. Il primo è che i dem non possono attaccare il governo di Giorgia Meloni sulla politica estera se non riescono a esprimere sudi essa una linea unitaria; è una questione di credibilità. Il secondo è che ormai molti osservatori d'area progressista stanno iniziando a dire che, se la sinistra governasse adesso, non riuscirebbe a gestire il caos con Unione Europea e Usa; e questa è l'accusa più grave, per la segretaria ma in fondo per tutto il partito che ha sempre fatto della cosiddetta cultura di governo la propria cifra politica. In questo senso, la piazza di sabato scorso, con Michele Serra che dal palco dichiara «siamo qui solo per porci degli interrogativi», ha aumentato le perplessità degli osservatori. Il terzo è che le loro divisioni disorientano l'elettorato e finiscono per fare il gioco di Cinque Stelle, che sul tema ha delle posizioni balzane ma quantomeno chiare; e in un momento in cui la gente è molto inquieta e non capisce che cosa sta accadendo, la nettezza paga. Il quarto è che, se ciascuno avesse continuato ad andare per i fatti suoi, l'ipotesi del congresso, paventata da Schlein come una minaccia più che come un proposito, sarebbe diventata estremamente concreta; e nessuno tra i dem vuole il congresso, non il giro Schlein, perché nella fase (semestrale) dei lavori in corso comporterebbe un passo indietro a favore del presidente Stefano Bonaccini, non gli anti-Schlein, che sognano di subentrare a ridosso delle Politiche, anziché farsi logorare per due anni. Radicale o profondo? Il sospetto è che il dubbio non riguardi tanto il tipo di cambiamento da imporre al piano Ursula, bensì il mutamento del Pd che la segretaria incarna e i riformisti non vogliono accettare.
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