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Trump, torna il "Dipartimento della guerra": cosa c'è dietro
Oggi 06-09-25, 14:49
Per un presidente che ha dichiarato, fin dal suo primo mandato, che gli Stati Uniti non combattono guerre senza fine, tendente al Nobel per la pace e financo al Paradiso, voler rinominare il dipartimento della Difesa in dipartimento della Guerra, come si chiamava fino al 1947, sembra un controsenso o schizofrenia follia. Come spesso gli accade, però, Donald Trump sta semplicemente svelando il vero: se non ci si occupa della guerra, la guerra si occuperà di noi. Occuparsi della guerra, inoltre, significa avere un obiettivo chiaro: avere un’idea della pace. Ed ecco perché il pragmatico leader a stelle e strisce non sta mostrando i muscoli, non soltanto, quantomeno, né sta confondendo la forma con la sostanza: «Ripristinare il nome dipartimento della Guerra aumenterà l’attenzione al nostro interesse nazionale e segnalerà agli avversari la disponibilità dell’America a fare la guerra per garantire i suoi interessi», si legge nell’ordine esecutivo che l’inquilino della Casa Bianca sta per firmare. L’ordinanza dovrebbe autorizzare Hegseth e i funzionari dell’esecutivo a utilizzare i titoli di “segretario della Guerra” e “vicesegretario della Guerra” nella corrispondenza e nelle comunicazioni ufficiali. Rinominare il dipartimento richiederebbe invece un atto del Congresso, anche se la Casa Bianca stava valutando altre strade per apportare il cambiamento. Superate le procedure burocratiche, sarebbe il ritorno sulla scena della parola onesta che vanifica l’ipocrisia del politicamente corretto (le cose esistono perché acquartierate in un nome): la nuova frontiera della difesa, intende Trump, è la guerra. «Vogliamo la difesa – ha detto – ma vogliamo anche l’attacco». È il riemergere del vecchio dilemma imperiale dell’America: quali sono i limiti morali all’esercizio della sua potenza (ammesso che il Pentagono, sotto le amministrazioni degli ultimi decenni, dal realismo di Henry Kissinger al finto pacifismo di Jimmy Carter fino alla disastrosa strategia obamiana nelle Primavere arabe, sia mai stato al servizio della difesa anziché dell’intervento)? No, ha spiegato il presidente, perché «quando si chiamava dipartimento della Guerra abbiamo vinto la Prima e la Seconda guerra mondiale, abbiamo avuto un’incredibile storia di vittorie». Breve riepilogo: il dipartimento della Difesa ha gestito quattro grandi guerre. Nella guerra di Corea del 1950-53, gli Usa sono stati a capo di un’alleanza che ha respinto l’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord, sostenuta da sovietici e cinesi. Dal 1965 al 1972 ha portato alla morte di migliaia di americani nella guerra del Vietnam (il ministro era Robert McNamara, così ossessionato da dati e statistiche da non guardare alle bare dei suoi soldati). Nella guerra del Golfo del 1990-91, il dipartimento ha difeso il Kuwait invaso dall’Iraq di Saddam Hussein. Quelle in Iraq e in Afghanistan, dopo l’11 settembre, hanno convinto gli americani dell’inutilità della democratizzazione del Medio Oriente: provoca soltanto disastri. Quando le forze armate erano ancora sotto competenza del dipartimento della Guerra, creato da George Washington nel 1789, gli Stati Uniti combatterono la guerra anglo-americana del 1812, quella messico-statunitense, la guerra civile, i conflitti contro i nativi, si riarmarono contro la Spagna perla questione cubana e infine la Prima e la Seconda guerra mondiale. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43989658]] Dopodiché, il presidente Harry Truman orchestrò un’ampia riorganizzazione del dicastero per migliorare l’efficienza nella sicurezza nazionale e la coesione tra l’esercito, la marina e l’aviazione, che erano sotto dipartimenti governativi indipendenti. L’obiettivo del neonato dicastero sarebbe stata la difesa e non la guerra, intesa come atto aggressivo dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale. «Unificazione non significa una perdita di identità. Significa proprio quello che dice la parola: unificazione», spiegò Truman. Per lo stesso motivo, difesa avrebbe dovuto significare difesa, non guerre eterne. Una politica estera limitatamente offensiva – come Trump ha dimostrato di saper fare eliminando il califfo al-Baghdadi e il generale Soleimani nel primo mandato e nel bombardare i siti di arricchimento dell’uranio iraniano lo scorso luglio – non si nasconde dietro a un dito.
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