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Politica
42 anni fa l'omicidio Dalla Chiesa. Mattarella: "Sua figura indica la via del coraggio e della responsabilità"
03-09-2024, 10:00
AGI - Carlo Alberto Dalla Chiesa incarnò la speranza dei siciliani onesti, ma morì, il 3 settembre 1982, ucciso da Cosa nostra in un contesto di isolamento istituzionale, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente scelto della polizia di Stato Domenico Russo mentre era alla guida della sua A112. Sono passati quarantadue anni. Era già stato in Sicilia come ufficiale dei carabinieri dal 1949 ai primi anni '50 e successivamente dal 1966 al 1973. Da generale aveva coordinato la lotta al terrorismo ed era stato nominato prefetto di Palermo dopo l'omicidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, per fermare la mattanza mafiosa. Aveva chiesto più volte, ma senza ottenerli, poteri effettivi di coordinamento della lotta a Cosa nostra. Furono cento giorni di impegno determinato, oltre ogni ostacolo, e di solitudine. Fino al tragico epilogo. Nell'ultima intervista a Giorgio Bocca, il prefetto spiegò che "un uomo viene colpito quando viene lasciato solo". E il pubblico ministero Nico Gozzo nella sua requisitoria parlò di "un delitto maturato in un clima di solitudine: Carlo Alberto Dalla Chiesa fu catapultato in terra di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l'espressione di una effettiva e corale volontà dello Stato di porre fine al fenomeno mafioso". Inevitabili, secondo il magistrato, gli effetti di questo 'abbandonò: "Cosa nostra ritenne di poterlo colpire impunemente perché impersonava soltanto se stesso e non già, come avrebbe dovuto essere, l'autorità dello Stato". Gli uomini della cupola erano già stati condannati nel Maxiprocesso nato proprio da un rapporto di Dalla Chiesa contro 162 esponenti di Cosa nostra e consolidato, nel suo impianto accusatorio, dal contributo di alcuni grandi pentiti come Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno e Francesco Marino Mannoia. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata e questa volta non è Sagunto, ma Palermo! Povera Palermo nostra Il superprefetto, nato a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre del 1920, ritornò a Palermo con procedura d'urgenza dopo avere affrontato la malavita del nord, la mafia siciliana e le brigate rosse. Era la sera del 30 aprile del 1982, poco dopo l'uccisione del segretario siciliano del Pci, Pio La Torre, terzo uomo politico assassinato nel giro di qualche mese dopo Piersanti Mattarella, democristiano, presidente della Regione siciliana, e Michele Reina, segretario della Dc palermitana. Ma durante i suoi cento giorni a Palermo non ebbe quei poteri speciali più volte inutilmente richiesti. Quel venerdì di 42 anni fa sembrò davvero che fosse per sempre "morta la speranza dei palermitani onesti", come scrisse un cittadino del capoluogo siciliano su un lenzuolo nel luogo della strage. Durante i funerali, il cardinale Salvatore Pappalardo tuonò dall'altare usando le parole di Tito Livio: "Dum Romae consulitur... Saguntum espugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata e questa volta non è Sagunto, ma Palermo! Povera Palermo nostra". I mandanti e alcuni esecutori sono stati condannati all'ergastolo. Ma, come disse l'ex procuratore antimafia Pietro Grasso, "per gli omicidi eccellenti bisogna pensare a mandanti eccellenti". La loro ricerca sembra non avere fatto significativi passi avanti e l'unica verità giudiziaria è compendiata nelle sentenze di condanna per due sicari e per i vertici della cupola tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco e Pippo Calò. "Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra - affermò la sentenza con cui nel 2002 la corte d'Assise inflisse l'ergastolo ai killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia - concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale". L'omaggio di Palemo Oggi a Palermo omaggio alle vittime dell'attentato mafioso di via Isidoro Carini, in cui persero la vita il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, la consorte Emanuela Setti Carraro e l'agente scelto della polizia di Stato Domenico Russo, uccisi il 3 settembre di 42 anni fa. Alle 9.30, momento commemorativo nel luogo della strage con deposizione di corone d'alloro da parte delle autorità civili e militari; alle 10, nella cattedrale di Palermo, Messa officiata dall'arcivescovo Corrado Lorefice e, a seguire, commemorazione con interventi delle autorità. Successivamente, presso il cippo commemorativo dedicato al generale in via Vittorio Emanuele, su iniziativa del Comando Legione carabinieri Sicilia, omaggio floreale da parte dei bambini dei quartieri a rischio di Palermo. Presente, in rappresentanza del governo, il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. Mattarella, indica la via del coraggio e della responsabilità "Il coinvolgimento della scuola, degli altri ambiti educativi, dei mezzi di comunicazione, è essenziale affinché sempre più si affermi una cultura diffusa della legalità, che rigetti ogni forma di compromesso con la mentalità mafiosa, rafforzando democrazia, sviluppo, coesione sociale. Con questi sentimenti, rivolgo un commosso pensiero alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo, esprimendo i sentimenti di solidarietà e di vicinanza della Repubblica". Lo afferma il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando che "quarantadue anni fa l'aggressione mafiosa interrompeva tragicamente il percorso umano e professionale di Carlo Alberto Dalla Chiesa". "Con lui - riprende - perdevano la vita la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo, deceduto alcuni giorni dopo per le ferite mortali riportate. Quel barbaro agguato contro un esemplare servitore della Repubblica rappresentò una delle pagine più funeste dell'attacco della criminalità organizzata alla convivenza civile. Il vile attentato non riusci', tuttavia, ad attenuare l'impegno per quei valori di legalità e giustizia propri alla nostra democrazia, per la cui affermazione, nei diversi ruoli ricoperti nell'Arma dei Carabinieri e da ultimo come Prefetto di Palermo, il Generale Dalla Chiesa aveva combattuto". "A distanza di anni, la memoria di quanti, come lui, si sono opposti al terrorismo e alla prepotenza mafiosa, continua a interpellare coloro che rivestono pubbliche responsabilità, la società civile, le giovani generazioni, ciascun cittadino. La sua figura, il suo lascito ideale - sottolinea ancora il Capo dello Stato - vivono oggi nell'operato di chi si impegna in prima persona contro la mafia e il terrorismo e indica all'intera comunità nazionale la via del coraggio e della responsabilità". "Ogni giorno, nei diversi contesti, donne e uomini della Magistratura, delle Forze dell'ordine, della Pubblica amministrazione, del mondo dell'impresa e del lavoro, contribuiscono, con il loro apporto, a tenere alta la guardia, a contrastare e denunciare prevaricazione e violenza, a riconoscere e sventare modalità nuove e insidiose di infiltrazione criminale", conclude Mattarella. Meloni, loro sacrificio ci ricorda di non abbassare la guardia "Nell'anniversario della strage di Via Carini, ricordiamo con commozione il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo", scrive sui social Giorgia Meloni. "Il loro sacrificio - prosegue - ci ricorda l'importanza di non abbassare mai la guardia nella lotta contro la criminalità organizzata e di difendere con fermezza i valori di legalità e giustizia. Il coraggio e la dedizione del generale dalla Chiesa, che ha combattuto senza sosta contro il terrorismo e la mafia, sono per noi - riprende la presidente del Consiglio - un esempio e una guida. È nostro dovere onorare la sua memoria continuando con determinazione il suo impegno. L'Italia non dimentica". De Lucia, tracce del suo metodo per catturare Messina Denaro "Spirito di sacrifico, capacità di fare squadra... tracce di questo metodo ci sono anche nelle attività svolte per catturare Matteo Messina Denaro: le attività di intercettazione dei familiari e delle persone a lui vicine, ad esempio, rientrano nella tipologia di attività investigativa che il generale aveva immaginato già negli anni Settanta". Lo ha detto a RadioUno Rai il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia.
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