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Addio a Ernesto Pellegrini, patron dell'Inter 'tedesca'
31-05-2025, 13:42
AGI - Un uomo di cuore e di fede, cristiana e nerazzurra: il nome di Ernesto Pellegrini, morto a Milano all'età di 84 anni, è legato indissolubilmente all'Inter di cui è stato un innamoratissimo presidente, dal 1984 al 1995. Furono gli anni della pattuglia tedesca che dopo nove anni riportò lo scudetto ai nerazzurri, quello dei record di Trapattoni nel 1989, e al ritorno a un trionfo europeo dopo 26 anni con la Coppa Uefa del 1990. L'approdo all'Inter dell'imprenditore milanese fa parte di un calcio che non esiste più: "Caro presidente - scrisse nel dicembre del 1979 all'allora patron nerazzurro, Ivanoe Fraizzoli, "mi permetta di dare un contributo ai successi della mia squadra". Il colpo di fulmine con la Beneamata era scattato in un Inter-Juve del 1954, quando all'età di 14 anni riuscì a fatica a sbirciare il trionfale 6-0 dei nerazzurri perché San Siro era affollatissimo. Dall'ingresso nel Cda dell'Inter, passarono quattro anni finché l'8 gennaio 1984 viene incoronato 17mo presidente della storia nerazzurra. La leggenda vuole che Gianni Agnelli abbia commentato "il nostro cuoco è diventato presidente dell'Inter", alludendo all'imprenditore che gestiva le mense della Fiat. Ma Pellegrini dimostra subito di fare sul serio e all'Inter porta in dote l'acquisto del due volte Pallone d'Oro Kalle Rummenigge per 10 miliardi di lire. Negli anni seppe costruire una squadra competitiva, con un'anima italo-tedesca incarnata dal trio Matthaus-Brehme-Klinsmann, da Nicolino Berti, dall'Uomo Ragno Zenga, dall'Aldone Serena e dallo Zio Bergomi. Una squadra sempre fedele al Dna di 'Pazza Inter', capace di incunearsi tra il Napoli di Maradona e il Milan di Sacchi e Berlusconi, raccogliendo successi ma anche clamorosi flop. Il capolavoro del presidente "dalla volontà di ghisa" resta il 13mo scudetto vinto nel 1989 dalla banda del Trap con i 58 punti conquistati in 34 partite quando la vittoria valeva solo due punti. Sempre nel 1989 arrivò la Supercoppa Italiana e nel 1991 la Coppa Uefa battendo in finale la Roma. L'ultimo trofeo ottenuto sotto la sua gestione fu la Coppa Uefa del 1994, vincendo la finale contro il Salisburgo in una stagione chiusa al 13mo posto in Serie A con qualche batticuore finale. Pochi mesi dopo Pellegrini cedette l'Inter a un altro presidente innamorato, Massimo Moratti. Tante le leggende sorte attorno al calcio romantico e un po' naif del 're delle mense', questo Cavaliere del lavoro dal cuore grande: una riguarda la moglie, la 'sciura' Ivana, esperta grafologa che lo avrebbe consigliato esaminando la scrittura dei potenziali acquisti. Il grande rimpianto di Pellegrini era per il campionato 1990-1991: "Ci fu negato uno scudetto", ricordava del titolo conquistato dalla Sampdoria, "gli arbitraggi di Fiorentina-Inter e Inter-Samp gridano vendetta ancora oggi". "Per undici anni ha guidato l'Inter con saggezza, onore e determinazione, lasciando una impronta indelebile nella storia del nostro Club", ricorda in una nota l'Inter, "FC Internazionale Milano e tutto il popolo nerazzurro si stringono attorno ai suoi familiari". "Proprio il giorno di un evento speciale della tua Inter, ed Ernesto, te ne sei voluto andare. Gli hai voluto tanto bene", ha commentato tra ii primi sui social Aldo Serena, attaccante dell'Inter di Pellegrini. Dalla ristorazione al calcio "A 19 anni mi diplomo ragioniere, vengo assunto alla Bianchi Biciclette come semplice contabile, conosco il mio mito Fausto Coppi e il suo meccanico preferito, pinza d'oro, lo chiamavano Pinella De Grandi. Dopo un paio d'anni mi promuovono capo contabile in una delle quattro società della Bianchi". Cominciò così l'avventura di Ernesto Pellegrini, ragazzo della periferia milanese, borgo di Morsenchio, vicino all'aeroporto di Linate. I genitori erano ortolani, lui li aiutava a vendere mazzetti di rosmarino al mercato. Di quelle origini ha sempre portato l'attenzione per chi è rimasto indietro anche quando il suo gruppo ha iniziato a decollare fino a fatturare, ultimo dato, 24 milioni di euro e a dare lavoro a oltre 11mila dipendenti nelle sedi di Milano, Roma, Mendrisio (Svizzera) e nei tanti appalti sparsi per il mondo. Ma torniamo a quel ragazzo intraprendente. "Un bel giorno il capo della commissione interna mi disse: ragioniere lei deve gestire la mensa della Bianchi. Risposi: ma io non ho mai fatto da mangiare in vita mia, non saprei neanche da che parte cominciare. Vi descrivo le esatte parole: "lei è un bravo amministrativo, figlio di ortolani, quindi sa distinguere la verdura fresca da quella vecchia". Nel 1965 fonda l'Organizzazione Mense Pellegrini, specializzata nella ristorazione sul mondo del lavoro anche attraverso i famosissimi buoni pasto che portano il suo nome. "Nel 2015 ho sentito il bisogno morale di ringraziare il buon Dio del tanto che ho avuto dalla vita. Parlando in casa con moglie, figlia e genero, abbiamo costituito una Fondazione che loro hanno chiesto avesse il mio nome". Poco dopo fonda il ristorante Ruben che ogni sera mette a tavola 500 persone. "Ruben è la restituzione di qualcosa del tanto che Pellegrini ha avuto, un risarcimento destinato a chi è rotolato in basso nella classifica della vita - raccontò in un'intervista al 'Corriere della Sera' -. Menu completo e prezzo simbolico di un euro, per salvare la dignità e allontanare l'idea dell'elemosina". Il ristorante è dedicato a un bracciante della sua infanzia, morto assiderato nella baracca "dimenticato da tutti". A 'Ruben' il pasto si paga un euro "per una questione di dignità, anche colui che è meno fortunato di me deve pagare per sentirsi qualcuno". Sua figlia Valentina, ora vicepresidente, avrà il compito di portare avanti non solo l'impresa ma anche i valori che hanno sostenuto il padre.
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