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Estero
Iran al voto, chi sono i sei candidati per il dopo-Raisi
24-06-2024, 07:30
AGI - L'elezione del prossimo presidente iraniano avrà luogo con un anno di anticipo, venerdì 28 giugno, dopo la morte del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero il mese scorso. Il voto si svolge sullo sfondo di un crescente malcontento interno, l'apatia degli elettori e le forti turbolenze regionali con la guerra tra Israele e Hamas. Il Consiglio dei Guardiani, l'organismo dominato dagli ultraconservatori che seleziona gli idonei alla corsa elettorale, ha dato il via libera solo a 6 candidati sugli 80 registratisi; la maggior parte sono conservatori con forti posizioni anti-occidentali, mentre il campo riformista è rappresentato da un solo candidato, il parlamentare Masoud Pezeshkian. Metà degli aspiranti presidenti sono sanzionati dai governi occidentali. Le donne che si erano registrate sono state tutte squalificate, come anche importanti moderati e riformisti, tra cui l'ex presidente del Parlamento Ali Larijani e l'ex primo vicepresidente Eshaq Jahangiri. Si ritiene che il favorito alle urne sia Mohammad Bagher Qalibaf, 62 anni, ex sindaco di Teheran con stretti legami con il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione e in grado di intercettare anche il voto centrista. L'altro candidato del campo conservatore su cui sono puntati i riflettori è l'ex capo negoziatore per il nucleare, l'ultraconservatore Said Jalili. È possibile che se i riformisti riusciranno a convincere il loro elettorato ad andare a votare, invertendo la tendenza degli ultimi anni all'astensionismo, Pezeshkian possa portare Qalibaf al ballottaggio, previsto il 5 luglio. L'appuntamento del 28 giugno offre alla leadership iraniana la possibilità di dimostrare di essere stata in grado di gestire un disastro come la morte improvvisa di un presidente senza destabilizzare il Paese, anche se è alle prese con un forte sentimento antigovernativo e tensioni all'estero con Stati Uniti e Israele. Le elezioni si svolgono sullo sfondo di una ormai perenne crisi economica, di un diffuso malcontento popolare e di una feroce repressione del dissenso con almeno nove giovani giustiziati per aver preso parte alle proteste del movimento 'Donna, vita, libertà nel 2022. Gli elettori, ormai da anni, manifestano la loro disillusione nei confronti di un sistema ritenuto sempre meno inclusivo, truccato e incapace di migliorare le loro vite, disertando le urne. Nelle ultime presidenziali del 2021, l'affluenza ha registrato il record negativo del 48,8%, il dato più basso dalla Rivoluzione islamica del 1979. In un sistema altamente controllato come quello iraniano, l'affluenza è un fattore importante di legittimazione del potere. La Guida Suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, ha sollecitato una forte partecipazione al voto, mentre figure come la Nobel per la pace 2023, l'attivista in carcere Narges Mohammadi, hanno lanciato appelli al boicottaggio parlando di "elezioni illegali". I candidati hanno tenuto diversi dibattiti televisivi, in cui tutti si sono impegnati ad affrontare le sfide economiche che colpiscono gli 85 milioni di abitanti del Paese, anche esprimendo inedite critiche al governo, lette però da molti osservatori solo come un tentativo di far apparire la consultazione libera e portare il più possibile elettori alle urne. Pezeshkian è stato l'unico candidato ad affrontare il tema della famigerata polizia morale, che controlla tra le altre cose l'obbligo del velo per le donne, limitandosi però solo a dichiararsi "contrario". Mentre i candidati sono stati liberi di criticare il sistema, i media sono stati tenuti sotto stretta sorveglianza. Due giornalisti in vista, Yashar Soltani e Saba Azarpeik, sono stati arrestati questo mese per il loro lavoro su casi di corruzione che coinvolgono funzionari governativi, in particolare il candidato conservatore Qalibaf. Azarpeik, incinta di due mesi, ha avuto un aborto spontaneo pochi giorni fa, dopo un'udienza di 9 ore del processo a suo carico per "falsità, diffamazione e minacce". Chi sono i 6 candidati Sei candidati, cinque conservatori e un riformista, si contendono la poltrona di presidente dell'Iran, nelle elezioni anticipate del 28 giugno, convocate dopo la morte dell'ex presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, morto in un incidente in elicottero a maggio. Solo loro hanno passato il vaglio del Consiglio dei Guardiani, l'organismo che supervisiona le elezioni nella Repubblica islamica. Il campo ultraconservatore è rappresentato da metà dei sei candidati: Said Jalili; Alireza Zakani e Amir-Hossein Qazizadeh Hashemi. SAID JALILI, 58 anni, è considerato uno dei politici più oltranzisti del Paese: ex segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza, ha guidato la delegazione che ha condotto i negoziati sul nucleare e si è poi fortemente opposto alla ripresa dei colloqui per ripristinare l'intesa del 2015, da cui gli Usa sono usciti in modo unilaterale sotto la presidenza di Donald Trump. Nato a Mashhad come Khamenei, ha conseguito un dottorato di ricerca all'Università Imam Sadegh, palestra ideologica del regime. È soprannominato il "martire vivente" per aver perso una gamba durante la guerra Iran-Iraq come membro dei basij, la forza paramilitare iraniana che agisce sotto il controllo dei pasdaran. Membro del Consiglio per il discernimento, principale organo consultivo della Guida Suprema, Jalili ha fallito la corsa alla presidenza nel 2013 e nel 2021, ma stavolta potrebbe contare sull'appoggio di alcuni dei più stretti collaboratori di Raisi. È uno dei due favoriti alla corsa alla presidenza. ALIREZA ZAKANI, classe 1966, ha cercato di candidarsi nelle elezioni del 2013, ma senza successo ed è stato poi ammesso nelle ultime presidenziali del 2021, che hanno visto la vittoria di Raisi. Tra i principali critici dei negoziati con le potenze occidentali sul programma nucleare iraniano, quando era parlamentare, è noto anche come il "carro armato rivoluzionario" per la sua retorica aggressiva e gli attacchi ai riformisti. Uno stile combattivo che ha mantenuto anche nella carica di primo cittadino, poco popolare, della capitale. Il suo mandato a sindaco, iniziato nel 2021, gli ha fornito notevoli risorse finanziarie e un certo grado di indipendenza dal governo. Zakani ha guidato la recente campagna di repressione per imporre con la forza l'hijab alle donne. è soggetto a sanzioni da parte del Regno Unito per aver commesso gravi violazioni dei diritti umani. AMIR HOSSEIN GHAZIZADEH HASHEMI, 53 anni, medico di formazione è un ex membro del Parlamento ed ex primo vicepresidente. Esponente della destra oltranzista, si è candidato alla presidenza nel 2021 senza successo. Raisi in seguito, lo aveva nominato vicepresidente e capo della Fondazione per gli affari dei martiri e dei veterani. Si tratta di una Fondazione parastatale, soggetta a sanzioni per aver indirizzato risorse finanziarie verso organizzazioni come Hezbollah. Nell'ala dei conservatori ritenuti pragmatici o moderati, come fa notare il sito Amwaj, rientrano Ghalibaf, e Mostafa Pourmohammadi. MOHAMMAD-BAGHER QALIBAF, classe 1961, alla sua quarta candidatura a presidente, è il grande favorito di queste elezioni. È stato non solo sindaco di Teheran, ma anche ex comandante dei pasdaran durante la guerra Iran-Iraq e capo della polizia. In quest'ultimo ruolo, Qalibaf - secondo un audio circolato anni fa - si è vantato di aver picchiato i manifestanti con bastoni di legno nel 1999 e di aver ordinato agli agenti di sparare sui manifestanti durante le proteste del 2003 nelle università. È appoggiato dai pasdaran, ha rapporti con la cerchia ristretta della Guida Suprema, Ali Khamenei, e gode di sostegno anche tra i centristi. È stato coinvolto in diversi scandali per corruzione. MOSTAFA POURMOHAMMADI, 64 anni, nato nella città santa sciita di Qom, è l'unico religioso a essere stato ammesso alle presidenziali e il candidato con meno chance. Insieme a Raisi, è stato membro del cosiddetto "Comitato della morte" che ha approvato l'esecuzione di migliaia di prigionieri politici alla fine degli Anni '80. Ex ministro della Giustizia sotto la presidenza ultraconservatrice di Ahmadinejad e ministro della Giustizia nell'amministrazione del pragmatico Rohani, vanta un considerevole pedigree nell'apparato: dalla burocrazia all'ufficio di Khamenei, passando per la magistratura e l'esecutivo. è stato squalificato quest'anno dalle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea degli Esperti, l'organo che sceglierà il successore della Guida Suprema. Un solo esponente riformista è stato ammesso alla corsa alla presidenza. Si tratta di MASSOUD PEZESHKIAN, 70 anni di origine azera, ha cresciuto tre figli da solo dopo la morte della moglie in un incidente: parlamentare da due decenni, oltre ai moderati e ai riformisti la sua candidatura si rivolge anche alla più grande minoranza del Paese, i circa 18 milioni di azeri. Pezeshkian si è espresso apertamente contro la mancanza di trasparenza del governo durante le proteste a livello nazionale innescate dalla morte di Mahsa Amini nel settembre 2022, mentre era in custodia della polizia morale. È un medico esperto e in precedenza ha servito come ministro della Sanità sotto l'ex presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005). È stato esplicito nel criticare il governo sulla questione dell'hijab obbligatorio. È un sostenitore dell'accordo sul programma nucleare iraniano (Jcpoa). Ha promesso di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, accusando i suoi rivali conservatori di aver rovinato l'economia, non facendo abbastanza per rilanciare il Jcpoa, da cui gli Usa di Trump si ritirarono unilateralmente nel 2018 ma che aveva portato alla revoca di alcune sanzioni. Pezeshkian ha nominato l'ex celebre ministro degli Esteri, Javad Zarif, come suo consigliere per la politica estera e ha fatto intendere che sotto la sua presidenza potrebbe anche rivedere le relazioni con Mosca. Ha avuto l'endorsement di Khatami (che nelle parlamentari di marzo si era invece astenuto) e di un dei leader dell'Onda Verde, Mehdi Karroubi. Pur condannando l'amministrazione Raisi in quanto incapace di risolvere i problemi del Paese, non è mai arrivato a criticare apertamente Khamenei. Ha anche sostenuto i principi fondamentali del regime, secondo cui gli Stati Uniti sono la causa principale delle tensioni nella regione.
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