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Cronaca
Le conseguenze della violenza di genere sul cervello delle vittime
Oggi 24-11-25, 14:19
AGI - La violenza maschile sulle donne non lascia solo lividi e traumi emotivi: incide anche sul funzionamento del cervello, rendendo più difficile ricordare e comprendere le parole. È quanto emerge da uno studio del Centro di ricerca Mente, Cervello e Comportamento dell’Università di Granada, che ha analizzato in tempo reale cosa accade nel cervello delle sopravvissute durante un compito di memoria. Che cos’è la memoria verbale e perché è così importante I ricercatori si sono concentrati sulla memoria verbale, cioè la capacità di ricordare e processare informazioni espresse attraverso il linguaggio, orale o scritto: parole, frasi, istruzioni. Una funzione cognitiva che sta alla base di attività quotidiane come leggere e capire un testo, studiare, seguire una spiegazione, comunicare in modo efficace, affrontare compiti scolastici o lavorativi. Quando questa capacità è indebolita, tutto diventa più faticoso: imparare qualcosa di nuovo, ricordare una lista della spesa, seguire una procedura, preparare un esame. Risonanza magnetica funzionale e un compito di memoria Lo studio è stato condotto con la risonanza magnetica funzionale, una tecnica di imaging che permette di osservare quali aree del cervello si attivano mentre una persona svolge una determinata attività, misurando le variazioni del flusso sanguigno. Diversamente dalla risonanza “classica”, che mostra solo la struttura del cervello, la versione funzionale restituisce una sorta di mappa in tempo reale dell’attività cerebrale. Alla ricerca hanno partecipato 80 donne: 40 sopravvissute a violenza maschile, 40 senza alcuna storia di violenza, che hanno costituito il gruppo di controllo. Il lavoro è firmato da Miguel Pérez García e Juan Verdejo Román, del dipartimento di Personalità, valutazione e trattamento psicologico, e nasce dalla tesi di dottorato della ricercatrice María Pérez González. Durante l’esperimento le partecipanti sono state sottoposte a un compito di riconoscimento di parole, mentre la risonanza magnetica funzionale registrava l’attività del loro cervello. Meno parole ricordate e più fatica mentale I risultati mostrano che le donne che hanno subito violenza di genere incontrano maggiori difficoltà nelle prime fasi dell’apprendimento: riconoscono un numero inferiore di parole nei primi due tentativi di prova, ottengono prestazioni peggiori nei test di richiamo libero (cioè quando devono ricordare senza aiuto le parole viste in precedenza). Non solo: la gravità delle aggressioni subite influisce sulle prestazioni. Più è stata intensa la violenza fisica, peggiore risulta il riconoscimento nelle fasi iniziali dell’apprendimento. Anche il “profilo” cerebrale delle sopravvissute appare diverso. Durante il compito di riconoscimento, il loro cervello mostra una maggiore “disattivazione” in alcune aree, un dato che i ricercatori interpretano come segnale di un maggior sforzo necessario per ottenere lo stesso risultato del gruppo di controllo. In pratica, per arrivare a una prestazione simile, il cervello delle vittime deve faticare di più. Una spiegazione neurobiologica alle difficoltà di tutti i giorni Già in passato diversi studi avevano evidenziato legami tra violenza subita, attenzione e memoria. Ma mancavano ricerche in grado di osservare in diretta i meccanismi cerebrali coinvolti durante un compito di memoria. Secondo gli autori, questo lavoro colma un vuoto e offre una spiegazione neurobiologica a molte difficoltà quotidiane raccontate dalle donne che hanno subito violenza: la fatica nel memorizzare informazioni nuove, il senso di “vuoto” o confusione davanti a istruzioni semplici, la difficoltà a ricordare elenchi o contenuti appena letti o ascoltati. Tutte situazioni che possono essere facilmente scambiate per distrazione, scarso impegno o stress generico, ma che, alla luce di questi dati, assumono una dimensione diversa: sono possibili esiti di un trauma subito. Valutazione neuropsicologica e riabilitazione: le prossime tappe Il gruppo di Granada sta ora concentrando il proprio lavoro sulle sequele neuropsicologiche della violenza maschile contro le donne, con l’obiettivo di definirne meglio la valutazione e studiare percorsi di riabilitazione mirati. Per gli studiosi è fondamentale che queste conseguenze vengano riconosciute nei percorsi di cura: servono valutazioni neuropsicologiche sistematiche per le sopravvissute ed è necessario progettare interventi di riabilitazione che aiutino a recuperare, almeno in parte, le funzioni compromesse. L’idea di fondo è che la violenza di genere non sia solo un’emergenza sociale e penale, ma anche un problema di salute pubblica a lungo termine, che incide sul cervello, sulla capacità di apprendere, lavorare, comunicare. E che, proprio per questo, richiede strumenti di diagnosi e cura adeguati, anche sul piano cognitivo.
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