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Estero
Nova Festival, l’alba del terrore: la storia di Mazal, sopravvissuta il 7 ottobre fingendosi morta
Oggi 26-11-25, 09:36
AGI - Il 7 ottobre 2023, Mazal Tazazo e i due suoi migliori amici, Daniel Cohen e Yohai Ben Zecharia, sono al festival di musica psy-trance Supernova Sukkot Gathering, nel deserto del Negev, nei pressi del kibbutz di Re'im, così come circa altre 3500 persone. Da qualche ora, migliaia di ragazzi stanno ballando ininterrottamente durante quello che per gli amanti della trance psichedelica è l’evento dell’anno. Una sorta di Woodstock, ma con la musica elettronica. L’attesa per quel festival è stata tanta. Molti hanno comprato il biglietto tre mesi prima. Come Mazal, che in quel momento ha 33 anni e un figlio di 9, che ha lasciato nella sua casa a Netivot per partecipare al party Nova più grande di sempre. La sua famiglia è arrivata in Israele dall’Etiopia nel 1984, come altri ‘Beta Israel’, connazionali arrivati in Israele grazie alle operazioni Mosè e Salomone, messe in atto da Tel Aviv per salvare gli ebrei etiopi da carestie e repressioni del governo. “All’improvviso - racconta Mazal a un gruppo di giornalisti, di cui l’AGI fa parte, in visita a Re'im- mentre il sole sorge, l’elettricità e la musica si interrompe, dal cielo iniziamo a intravedere qualcosa di strano e in lontananza si udiscono degli spari, che via via diventano sempre più vicini”. Da quel momento, l’orrore. Sono le 6:20 del mattino, Mazal si accorge che c’è una linea di fumo in cielo e capisce subito che sono missili, ma inizialmente - spiega, con il tono e l’espressione di chi da quel giorno vive una vita diversa - credeva fossero i soliti due tre razzi a cui lei, che è nata e cresciuto ad Ashdod, è abituata. “La musica tornerà, pensava”. In realtà è l’inizio del massacro. “E quel posto, che prima del 7 ottobre era un paradiso, diventa un inferno”, spiega Mazal, proprio da quello spazio che era passato in pochi minuti dalla pista da ballo a luogo di tragedia. “Capiamo che non è il solito lancio di razzi e decidiamo di scappare via. Ma non riusciamo ad andare lontano”. I miliziani di Hamas raggiungono i tre, uccidono Daniel e Yohai, mentre Mazal viene colpita alla testa. Da lì accade quello che lei, commuovendosi, definisce un miracolo. “Mi fingevo morta. Due uomini, mentre gridavano in arabo, mi toccavano le gambe e hanno iniziato a legarmi con delle corde. Erano convinti fossi morta. Per questo mi hanno lasciato lì a terra. Oggi - ribadisce - posso dire che è stato un miracolo. Tutti noi che siamo sopravvissuti abbiamo avuto un regalo di dio”. Man mano che passa il tempo, tutti i poliziotti presenti vengono uccisi. Quel calvario dura oltre otto ore prima che Mazal venga salvata e portata in ospedale. Alla fine il conto dei morti al Nova Festival è una carneficina, più di 360 giovani vengono uccisi e 40 rapiti vivi. Per riconoscerli tutti ci vuole più di una settimana. E insieme agli altri attacchi compiuti da Hamas, il 7 ottobre diventa il giorno della più grande ferita subita da Israele all’interno del Paese dalla sua fondazione. 1200 morti, di cui oltre 800 civili. 78 anni dopo l’Olocausto, Re'im diventa un simbolo, come i campi di concentramento in cui la Germania nazista aveva pianificato l’eliminazione sistematica degli ebrei, e lo si capisce vedendo i pullman che portano senza sosta scolaresche e turisti. Dal 7 ottobre, Mazal ritorna qui almeno 3 volte alla settimana, gira il mondo, cerca di parlare con tutti coloro che vogliono ascoltarla, per raccontare i fatti, ma ammette: “È molto triste che dopo due anni, ci siano cerimonie a favore di Hamas. E questo non solo nelle strade, ma anche - ed è questo una delle cose più sorprendenti e incomprensibili per lei - nelle università migliori del mondo”. Come accaduto un mese fa, a New York, in una delle Ivy League. “È come se dopo l’11 settembre, all’università di Ben Gurion avessimo festeggiato o inneggiato ad Al-Qaeda”, scandisce Mazal, riconoscendo tuttavia che “Israele non è sola, noi non siamo soli. La parte buona del mondo è con noi”. Oggi per Mazal vivere è un dono e raccontare la sua storia non è solo un gesto di coraggio, ma di responsabilità. Il suo impegno nasce da una promessa muta fatta nel deserto: che nessuno, mai, possa dire di non sapere cosa accadde al Nova Festival.
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