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Estero
Peled all'Agi: "Senza pressione diplomatica su Hamas la tregua a Gaza è a rischio"
Oggi 24-10-25, 17:54
AGI - Senza una pressione diplomatica compatta su Hamas, la "fragile" tregua stabilita a Gaza e il piano siglato a Sharm el Sheikh sono a rischio. A sottolinearlo è stato l'ambasciatore israeliano a Roma, Jonathan Peled, che in un'intervista all'AGI ha insistito sul ruolo chiave che la comunità internazionale, Italia compresa, gioca a Gaza. "Si tratta di una tregua e di un accordo molto fragili. Israele è impegnato fino in fondo ad attuarli e di fatto ha fermato i combattimenti, ha ritirato le truppe oltre la Linea Gialla, ha consentito l'ingresso di tutti gli aiuti umanitari". Purtroppo, ha spiegato, "Hamas sta facendo esattamente il contrario. Non hanno rispettato l'impegno a restituire tutti gli ostaggi - ci sono ancora 13 corpi che non sono stati consegnati - sta giustiziando palestinesi a Gaza e sta dicendo apertamente che non deporrà le armi. Non solo stanno violando la prima fase dell'accordo, ma ha annunciato che violerà anche la prossima". L'ambasciatore non si sbilancia sulle chance che il piano abbia successo. "Non è una questione di essere ottimisti o meno, ma di essere realistici. Ben Gurion diceva che per essere realistici in Israele bisogna credere nei miracoli", ha ricordato. E "realisticamente parlando, gli Americani stanno esercitando moltissima pressione", ha sottolineato citando le visite del presidente Donald Trump, del suo vice JD Vance, del segretario di Stato Marco Rubio, dell'inviato Steve Witkoff e di Jared Kushner. Il ruolo dei Paesi musulmani e la missione di stabilizzazione Anche i Paesi musulmani sono impegnati" oggi sul cessate il fuoco e in prospettiva sulla missione internazionale per la stabilizzazione di Gaza, tra i punti del piano Trump ma ancora solo sulla carta. "È molto difficile convincere gli Stati Uniti o l'Italia o qualsiasi altro Paese a inviare soldati perché nessuno vuole mettere a rischio i propri militari", ha sottolineato. "Ma se sarà fatta sufficiente pressione e finché la comunità internazionale resterà unita, credo che Hamas attuerà l'accordo" e si potrà andare avanti con il piano. L'Italia e il suo contributo a Gaza E su questo anche all'Italia si guarda. "Abbiamo un dialogo molto importante con il governo italiano, come testimonia il piano Food for Gaza. L'Italia parteciperà alla missione europea Eubamb, che dovrebbe riaprire a giorni, con suoi Carabinieri", ha ricordato. È presto per discuterne, ma con gli Stati Uniti e il Consiglio internazionale che amministrerà Gaza considereremmo ovviamente con favore ogni contributo italiano alla ricostruzione", ha assicurato. "Non spetta a Israele decidere, ma l'Italia è un interlocutore importante, guardato con grande rispetto e apprezzamento da paesi arabi e Stati Uniti, ed è già in contatto per vedere come contribuire non appena ci saranno le condizioni di sicurezza." Il protagonismo di Washington e la tattica degli sponsor Dalla firma dell'intesa a Sharm el Sheikh, il protagonismo di Washington è stato innegabile mentre gli altri sponsor sono rimasti nell'ombra. Ma per l'ambasciatore Peled non è un segnale di disimpegno. Anzi. "Gli Stati Uniti guidano il processo, ma il Qatar, la Turchia e l'Egitto sono molto presenti, dicono che vogliono un ruolo nel futuro di Gaza. Credo sia più una decisione tattica. Meglio avere un solo capo" ora. Hamas: una minaccia anche per i Paesi arabi Solo tattica dunque e non divergenze di sostanza, è certo l'ambasciatore. "Se si chiede ai qatarioti o ai turchi se il mondo sarebbe migliore senza Hamas, sarebbero d'accordo anche loro. È una minaccia anche per loro. Anche se Israele può non piacergli, anche loro capiscono la realtà sul campo. Siamo ancora in una situazione in cui questo accordo ha la possibilità di avere successo". Il ruolo limitato dell'Autorità Nazionale Palestinese Poi c'è un altro attore di cui si parla poco: l'Autorità nazionale palestinese. "Nonostante quello che Abu Mazen ha detto anche di recente, nessuna delle riforme necessarie sta andando avanti in alcun modo. E continuiamo a credere che l'ANP non possa svolgere un ruolo significativo a Gaza se non attua le riforme", ha ribadito Peled. Dunque il ruolo dell'ANP "è subordinato a tre questioni fondamentali: la cancellazione dei pagamenti alle famiglie dei terroristi, lo stop all'incitamento anche nei libri di testo - e questo è responsabilità dell'Unione europea che però non sta mantenendo la promessa di controllare - e la fine dei tentativi di delegittimare Israele davanti ai Tribunali internazionali". Il "Piano B" di Israele e la priorità della diplomazia Ovviamente Israele "ha un piano B" in caso saltasse il banco. "Ma preferiamo non parlarne. È chiaro a tutti, e gli Stati Uniti lo hanno detto pubblicamente che, se Hamas continuerà a violare l'accordo, Israele avrà il diritto di ricorrere nuovamente ad azioni militari. Ma preferiremmo risolvere attraverso la diplomazia. È la nostra priorità, siamo stanchi di due anni di guerra, abbiamo bisogno di calma e sicurezza per poter andare avanti", ha assicurato. Nessuna indagine internazionale: focus su presente e futuro E avanti bisogna guardare, secondo Peled che non ritiene al momento utile un'indagine internazionale su quanto accaduto dal 7 ottobre 2023, che sia la strage stessa o la guerra che è seguita, come invece è stato il caso per altri processi di pace. A che serve? Nessuno può cambiare il passato, purtroppo. Non si tratta di dimenticare, ma di essere pragmatici. Dobbiamo concentrarci sul presente e sul domani. Se guardassimo al passato, dovremmo risalire a re Davide, ai nostri diritti sulla terra di Israele. Andrebbe bene per gli studiosi, ma non porterebbe pace, sicurezza e una coesistenza di due popoli." La priorità ora, ha insistito, "è sbarazzarci di Hamas, e lo dice anche l'ANP, e trovare un interlocutore palestinese disposto a riconoscere Israele e sedersi al tavolo per dialogare. Nessuno può imporre alcun tipo di Stato o accordo al di fuori delle due parti. A ora c'è solo un attore al tavolo ed è Israele, l'altra parte del tavolo è vuota".
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