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Cronaca
Per la cura dell'HIV basterà una iniezione ogni due mesi
Oggi 29-04-25, 02:49
AGI - Dagli Usa arrivano anche notizie confortanti sulla ricerca sull'HIV. L'edizione 2025 del Croi (Conference on retroviruses and opportunistic infections), tenutasi a San Francisco, ha portato una conferma importante: i farmaci long acting rappresentano una nuova frontiera sia nel trattamento che nella prevenzione dell'Hiv. La possibilità di passare da una pillola al giorno a una singola iniezione ogni due mesi rivoluziona l'approccio terapeutico, migliorando l'aderenza, riducendo lo stigma e offrendo nuove opportunità soprattutto per le popolazioni più vulnerabili. Diversi studi hanno confermato l'elevata persistenza dei farmaci long acting sia nel trattamento che nella profilassi pre-esposizione. Permane il problema di una diffusione limitata di questi farmaci in Italia. "La somministrazione della terapia - spiega Antonella Castagna, primario dell'Unità operativa di Malattie infettive dell'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie infettive e tropicali all'Università VitaSalute San Raffaele - nella formulazione long acting, un'iniezione intramuscolare ogni due mesi di Cabotegravir Rilpivirina, è definitivamente entrata nella gestione quotidiana dei centri di malattie infettive in Italia ed è destinata a diventare il nuovo standard terapeutico. I dati più interessanti presentati al Croi emergono nello studio 'Cares' a 96 settimane su giovani donne in Africa, dove il problema dell'aderenza alla terapia orale è molto sentito e in cui l'approccio long acting si è rilevato di grande successo, con percentuali di successo virologico superiori al 95% e solo quattro fallimenti virologici. I dati di Cares sono rassicuranti su quella che può essere la durability, con la somministrazione dei long acting per almeno due anni in popolazioni difficili". "I dati presentati al Croi - continua Castagna - sia dagli studi controllati che dalle esperienze di real world evidence (come Trio e Opera), confermano efficacia e sicurezza in diversi setting e popolazioni. Oltre a migliorare l'aderenza lasciando invariata l'efficacia, la terapia long acting è molto importante nella riduzione dello stigma: i farmaci assunti per via orale quotidiana, infatti, costituiscono ancora oggi una zavorra molto faticosa per tante persone che vivono con l'infezione da Hiv. Uno degli aspetti più rilevanti che rendono la terapia e la profilassi pre-esposizione long-acting strategiche per il futuro è il potenziale insito in questi approcci nel raggiungere le popolazioni in cui l'aderenza rappresenta una sfida maggiore, come le donne, gli homeless, le persone transgender, i migranti. In questo senso gli studi che confermano efficacia e sicurezza nel passaggio dai trials clinici al real world rappresentano un importante passo avanti". In Italia negli ultimi anni abbiamo assistito a una ripresa delle infezioni, oltre duemila ogni anno (2.349 nel 2023). In terapia ci sono oltre 140mila persone, ma il tasso di penetrazione della terapia long acting è ancora molto basso: si avvicina al 10% nei centri più attrezzati, rimanendo marginale in molti altri. Quindi la popolazione in teoria eleggibile a questo approccio resta in gran parte esclusa. "La profilassi pre-esposizione orale - ricorda Andrea Antinori, direttore Dipartimento clinico Inmi Spallanzani - si può assumere in modalità continuativa, con una pillola al giorno, oppure on demand, al bisogno, riducendo, con un'aderenza corretta, quasi del 100% il rischio di acquisizione di Hiv per via sessuale. La somministrazione per via orale pero' presenta grossi limiti in tema di aderenza e persistenza. Studi europei, francesi, americani, ma anche i dati della coorte italiana Ita-prep del periodo 2017-2023 rilevano che, dopo due anni solo il 40% circa mantiene un'aderenza adeguata". "La gestione delle due diverse modalita' di assunzione della profilassi orale, quotidiana e on demand, e la possibile transizione da una all'altra puo' rappresentare un ulteriore problema - conclude Antinori - Inoltre, vi è un elevato tasso di persone (37% a due anni) che interrompono il percorso e solo in alcuni casi ciò avviene per una reale riduzione del livello di rischio". L'erogazione della profilassi pre-esposizione iniettabile per via intramuscolare con Cabotegravir colma dunque le lacune della somministrazione orale. "Anzitutto, la formula long acting - sottolinea Antinori - consente tassi di aderenza più elevati, vista la somministrazione ogni due mesi, un intervallo di tempo che potrà presto allungarsi. In secondo luogo, la somministrazione avviene in ospedale da parte degli operatori sanitari, che possono così monitorare l'aderenza. I dati degli studi randomizzati di Cabotegravir documentano un'efficacia sostanzialmente doppia rispetto alla somministrazione orale, e gli studi presentati al Croi, come Pillar e Imprep, testimoniano un alto grado di preferenza e una elevata persistenza alla strategia profilattica con Cabotegravir iniettabile. Inoltre, la profilassi pre-esposizione iniettabile consente di raggiungere delle popolazioni più difficili e di avere in queste tassi elevati di efficacia: è il caso di sex worker o persone transgender". La profilassi pre-esposizione long acting con Cabotegravir intramuscolare ha ottenuto l'approvazione da parte dell'Ema. "In Italia - dice Antinori - è inserita in una fascia per cui è approvato l'uso ma non è rimborsabile e non è sostanzialmente disponibile. In questo momento in Aifa è in atto la discussione del dossier per la rimborsabilità e ci auguriamo che questo percorso vada presto in porto. Il farmaco è al momento somministrato a poco meno di 500 persone attraverso un programma pilota di quattro centri: l'Inmi Spallanzani di Roma e tre ospedali milanesi, il Sacco, il San Raffaele, il Niguarda. L'impressione è sicuramente favorevole, c'è un alto tasso di gradimento da parte delle persone, sono tutti perfettamente aderenti e senza effetti collaterali di rilievo".
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