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Politica
Picierno: "Al referendum 2 si, ma no ad abiure di governo"
Oggi 13-05-25, 09:54
AGI - "Voterò convintamente a favore del quesito sulla cittadinanza, una proposta di civiltà che sostengo con forza, e di quello sulla responsabilità delle imprese appaltanti in caso di infortunio. Non ritirerò la scheda sul Jobs act, nè sui licenziamenti nelle piccole imprese e sui contratti a termine perché le criticità del mondo del lavoro non riguardano l'articolo 18, ma i salari e la perdita di potere d'acquisto, specie del ceto medio". Lo anticipa Pina Picierno, vicepresidente dem del Parlamento europeo riferendosi all'appuntamento referendario di giugno. "Per far ripartire il Paese è necessario legare la produzione e il lavoro alla conoscenza. Occorre riconoscere il valore giusto del lavoro con una legge per il salario minimo e rendere effettiva la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese", sostiene. "Non trovo corretto che uomini delle istituzioni invitino a non andare a votare. La loro non è una posizione illegittima, ma potrebbero evitare", aggiunge con riferimento alle posizioni espresse da Antonio Tajani e Ignazio La Russa. "Non c'è nessuna resa dei conti in corso" nel Pd, assicura. "Io dico che non serve una divisione nel mondo sindacale fondata sui tentativi di abiura e rimozione di una stagione politica e di governo", sottolinea. Timori di esprimersi contro Elly Schlein? "Non ho informazioni di questo tipo, ma sarebbe particolarmente grave se ciò accadesse, visto che abbiamo scelto l'aggettivo democratico, non come orpello estetico, ma perché pensiamo che le diversità di vedute siano una ricchezza". "A chi critica dalla maggioranza vorrei ricordare che l'ultima vera stagione di riforme fu concretizzata proprio dal Pd. Dal governo finora solo annunci". Anche sulla posizione dem sulla guerra in Ucraina, Picierno non vede particolari problemi. "Alla fine contano i voti e quando c'è stato da votare, seppur con qualche sfumatura diversa, abbiamo ribadito una posizione unitaria e difesa di Kiev". La lettera dei riformisti dem Lettera di sei esponenti dem sul referendum dell'8 e 9 giugno. In un testo inviato a 'Repubblicà, il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, la vicepresidente dell'Europarlamento Pina Picierno, l'europarlamentare Giorgio Gori, le deputate dem Marianna Madia e Lia Quartapelle, e il senatore Filippo Sensi annunciano che voteranno a favore solo dei quesiti sulla cittadinanza e sugli appalti, astenendosi sugli altri quesiti che riguardano il Jobs act "misura introdotta 10 anni fa dal partito democratico che - sottolineano - oggi è lo stesso Pd, rispondendo alla sollecitazione della Cgil, sconfessa invitando a votare 'si'' ai quesiti" e che "rimane l'ultimo provvedimento organico sul lavoro approvato in Italia per armonizzare la nostra disciplina a quella degli altri Paesi Ue ispirato alle migliori esperienze giuslavoriste delle socialdemocrazie europee". "Per restituire dignità al lavoro servirebbero invece le politiche attive previste dal Jobs act e non realizzate - sostengono -. Un grande investimento in formazione e aggiornamento dei profili professionali, un nuovo patto che tenga insieme innovazione, produttività, salari e una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese". "Servirebbe, come chiede il Pd, la legge sul salario minimo negata dalla destra, tutela della fascia più bassa delle retribuzioni - aggiungono -. Ciò che non serve invece è agitare un simulacro o fuori tempo con un dibattito che distrarrà l'attenzione dai veri problemi, oltre a creare divisioni in campo progressista sindacale (Cisl contraria, Uil per la libertà di voto). Per tutte queste ragioni l'8 e il 9 giugno andremo a votare non solo perché è un diritto-dovere costituzionale ma perché la partecipazione al cuore della democrazia. Voteremo 'si' al referendum sulla cittadinanza, che risponde alle attese di milioni di persone, discriminate nei loro diritti, e al quesito sulle imprese appaltanti, in un Paese con una intollerabile strage quotidiana di morti sul lavoro". "Ma non voteremo gli altri tre quesiti perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti col passato", sottolineano.
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