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Estero
Quando la Turchia abbatté un jet russo che sconfinava
Oggi 22-09-25, 11:00
AGI - Il 24 novembre 2015, alle 7:24 del mattino, un aereo da guerra russo Sukhoi Su-24 fu abbattuto nella provincia di Latakya, nei pressi del confine tra Siria e Turchia da un jet F16 turco. Pilota e copilota attivarono la procedura d'emergenza attraverso l'espulsione dal veicolo. Il pilota Oleg Peshkov fu catturato e ucciso da una milizia della minoranza turcofona attiva nell'area contro il regime di Damasco. Il copilota Konstantin Murakhtin fu tratto in salvo in un'operazione in cui perse però la vita un militare a bordo di uno degli elicotteri delle squadre speciali russe, finiti nel mirino dell'artiglieria delle milizie locali. Escalation delle tensioni tra Russia e Turchia Un evento che fece precipitare i rapporti tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il collega russo Vladimir Putin, ai minimi storici. La Russia aveva da poco più di due mesi fatto il proprio ingresso nella guerra civile siriana e l'aeronautica di Mosca a settembre aveva iniziato a bombardare con l'obiettivo di annientare i ribelli e rimettere le mani nel Paese dell'alleato Bashar al Assad. La Turchia aveva invece puntato tutto sull'opposizione, ne ospitava i rappresentanti, finanziava i ribelli e mirava alla caduta del regime per poter garantire il ritorno dei profughi che già affluivano a centinaia di migliaia. L'abbattimento del Sukhoi e la morte dei due militari rappresentarono la crepa di una divergenza di strategie che pareva insanabile. Accuse e giustificazioni Il governo turco in un primo momento si difese asserendo che la reazione era arrivata in seguito a "numerose invasioni dello spazio aereo" avvenute nelle settimane precedenti e che la nazionalità del velivolo era sconosciuta. Il Sukhoi abbattuto era stato avvisato "dieci volte" e "le regole di ingaggio rispettate". Gli audio furono anche pubblicati, ma smentiti dallo stesso Putin, secondo cui non vi fu alcuno sconfinamento né avviso. Non arrivarono le scuse attese dal Cremlino, ma giustificazioni che non frenarono il risentimento di Mosca. Dalla crisi alla riconciliazione Oggi Erdogan e Putin hanno rapporti eccellenti. I due leader hanno condiviso tavoli su Siria e Nagorno Karabakh, concluso importanti accordi di partnership energetica, discutono della crisi ucraina e hanno una visione convergente anche su temi caldi come il Medio Oriente. Sembra incredibile ma appena dieci anni fa tra i due soffiavano venti di guerra e minacce di ritorsioni pesanti. "È ovvio che il nostro aereo non costituiva una minaccia" disse Putin "Si tratta di una pugnalata alle spalle da parte di un Paese amico, un atto che avrà pesanti conseguenze". Gli interessi economici Che però non ci furono: Mosca e Ankara si sarebbero scatenate in una serie di rinfacci - dal genocidio degli armeni alle stragi compiute in Asia Centrale e nel Caucaso - e i rapporti diplomatici raggiunsero i minimi storici tanto da annullare una visita del ministro degli Esteri Lavrov in Turchia. Ad ammorbidire il linguaggio del governo turco fu però 'il messaggio' con cui il Cremlino chiese ai propri imprenditori di abbandonare la Turchia e ai propri cittadini di boicottare la costa turca come meta di vacanze (i russi sono i primi per presenza turistica in Turchia). Circostanze che comportarono la perdita di decine di miliardi di dollari in pochi mesi e la rabbia degli albergatori della costa sud, un'area in cui l'economia crollò letteralmente, di pari passo con il consenso nei confronti dell'Akp di Erdogan. Un messaggio che lo stesso Cremlino, tramite il portavoce Dimitry Peskov, dichiarò di avere intenzione di trasformare in sanzioni che avrebbero colpito duramente la precaria economia turca. "Si tratta di sanzioni illegali, quell'aereo è stato colpito perché ha sconfinato. Sediamoci e parliamone, possiamo combattere il terrorismo in Siria fianco a fianco", disse l'allora ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. Troppo importanti gli affari tra i due Paesi, anche per le forniture energetiche e gli appalti che vedono i giganti Gazprom e Rosatom impegnati nella costruzione di gasdotti e centrali nucleari. Progetti cruciali per un Paese come la Turchia, situato in una posizione strategica ma povero di risorse naturali. La riconciliazione Fu Ankara ad abbandonare la retorica del muro contro muro e lanciare i primi segnali di riavvicinamento ed è la ragione per cui il governo turco si è astenuto dall'applicare sanzioni alla Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina. Il 14 giugno 2016, 8 mesi dopo l'abbattimento dell'aereo, Erdogan inviò una lettera a Putin in occasione della giornata nazionale russa; lo stesso Erdogan e il leader russo parlarono al telefono il 29 giugno in quello che fu considerato il dialogo della riconciliazione. Un dialogo in cui, probabilmente, arrivarono le scuse della Turchia che Putin esigeva. Da allora i due Paesi hanno agito in Siria coordinando i propri interessi senza quasi mai pestarsi i piedi. Erdogan ha taciuto nell'unico episodio in cui i russi hanno colpito avamposti turchi (a Idlib nel febbraio 2020), incontrato Putin numerose volte e attivato intese che spaziano dal commercio all'energia, dalla diplomazia alla gestione di crisi internazionali. Nessun leader Nato oggi dialoga con Putin, eccetto Erdogan, nonostante 10 anni fa i due siano stati sull'orlo di una guerra.
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