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Cronaca
Tutto cominciò a Lavinio
Oggi 06-11-25, 12:57
AGI - Roma deve i suoi natali a un uomo venuto dal mare e sbarcato nel Lazio, sul litorale romano a Lavinio. È qui che comincia la fantastica storia dell’Urbe, non sul Tevere. A vararla è il mitico Enea, approdato sulla spiaggia della marina da lui voluta e così chiamata in onore della seconda moglie, Lavinia, figlia del re dei Latini, Latino. A riferire il fatto è una leggenda, la medesima che celebra la fondazione di Roma in cui storia e mito si confondono. L’opera in questione è l’”Eneide” del poeta latino Publio Virgilio Marone: ci lavorò negli ultimi anni della sua vita (29-19 a.C.) e prima di morire pregò l’amico Valerio Rufo di dare fuoco al manoscritto, volontà però non rispettata. È pensiero diffuso che i sacri confini della Città Eterna furono immaginati dai gemelli Romolo e Remo naufragati dentro una cesta sulle sponde del fiume Tevere, allattati da una lupa e cresciuti dal pastore Faustolo assieme alla moglie Acca Larentia. Poema alla mano, però, in questa storia le cose importanti da sapere sono anche altre avvenute in un lasso di tempo assai precedente. Per prima cosa, l’originaria fantastica idea di tirare su la “Caput mundi” (compleanno tradizionalmente fissato nel 753 a.C.) non fu dei due fratelli bensì di Enea, loro famoso lontano avo. Fu lui a piantare il seme di Roma: non mise piede sulle rive del fiume Tevere ma sulla sabbia che si estende tra le attuali località costiere di Pratica di Mare e Torvaianica, nel territorio del comune di Pomezia, a una ventina di chilometri dalla Capitale. Secondo il testo virgiliano, intorno al 1200 a.C. i greci avevano messo a ferro e fuoco la città di Troia, l’antica Ilo (da cui discende il nome dell’altro poema omerico “Iliade”) sulla costa dell’odierna Turchia. Era la capitale della Troade, circondata dalla maestosa cinta muraria voluta, si tramanda, dagli immortali Apollo e Poseidone. Enea era il principe dei Dardani (popolazione della stessa penisola anatolica però situata più a est rispetto a Ilo), figlio del mortale Anchise e della dea Venere, cugino del re di Troia, Priamo, di cui in prime nozze aveva sposato la figlia Creusa (scomparsa durante la fuga). Nei versi, il troiano viene descritto come il guerriero più valoroso dopo Ettore, suo parente e primogenito del sovrano. Quindi è normale che il suo desiderio fosse quello di continuare a combattere gli Achei venuti davanti alle mura troiane con la scusa di riprendersi la regina di Sparta, Elena, ma col vero obiettivo di conquistare la città. Però, sempre secondo il poema, la sorte del principe era un’altra. Doveva assolutamente lasciare il campo di battaglia perché contro di lui c’era un ben altro nemico: la dea Giunone, numero due dell’Olimpo e consorte di Giove. E anche il Fato spingeva perché Enea seguisse la sua strada: doveva raggiungere la terra italica, dare vigore alla linea di sangue della “gens Iulia”, da Iulo (Giulio), altro nome del figlio di primo letto, Ascanio, fuggito con lui da Troia. Inoltre, era scritto che tra i discendenti di Enea ci sarebbero stati personaggi celebri della saga di Roma: Romolo e Remo, Giulio Cesare e Augusto. Addirittura, riferisce la tradizione, parte del suo Dna sarebbe stata trasmessa anche al patrimonio genetico di altri consanguinei, come il favoloso progenitore di Londra, suo nipote Bruto da Troia. Quindi la partenza era obbligata. Stando all’opera di Virgilio, al termine di sette anni di peripezie per mare e per terra e dopo aver attraversato l’antico fiume “Numicus” (ovvero il Fosso di Pratica), Enea e i suoi marinai calcarono l’arenile nei pressi del borghetto di Pratica di Mare. Una volta a riva, il troiano sa già quello che deve fare. Glielo ha detto suo padre Anchise nell’oltretomba quando, prima di arrivare a Lavinio, il principe vi è sceso passando dall’antro di Cuma, nei campani Campi Flegrei, accompagnato dalla magica inquilina di quel posto, la Sibilla di Apollo. Nell’aldilà Anchise anticipa molto al figlio: avrebbe avuto eredi famosi (tra i quali Romolo e Remo appunto), i quali avrebbero fondato Roma, città che sarebbe stata dalla fama eterna e governata da uomini illustri. “Roma uguaglierà l’impero alle terre e gli animi all’Olimpo – disse tra le altre cose Anchise nel Libro VI dell’”Eneide” - da sola cingerà con un muro sette colli, fertile per la prole di eroi”. Chiaramente, ultima figura romana che il defunto cita a Enea è quella del primo imperatore della Città Eterna, Ottaviano Augusto, colui che per motivi di propaganda interna ha commissionato a Virgilio il componimento del poema. Dunque, l’epopea giallorossa è iniziata a “Lavinium”, una Capitale della Storia nel Lazio.
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