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Crolla il governo Lecornu: Macron resta solo all’Eliseo
Oggi 06-10-25, 11:23
Parigi. Il governo di Sébastien Lecornu è durato una notte. Lunedì 6 ottobre mattina il primo ministro francese, nominato a inizio settembre dopo la sfiducia della maggioranza dei deputati dell’Assemblea nazionale al centrista François Bayrou, si è dimesso. L’annuncio è arrivato con un laconico comunicato dell’Eliseo, in cui si precisa che Lecornu ha rassegnato le dimissioni al presidente della Repubblica Emmanuel Macron, che le ha accettate. Dopo un laborioso weekend di negoziati, riunioni e pressioni da parte del capo dello stato, i nomi dei ministri di Lecornu (i primi diciotto, le altre nomine erano attese nella giornata di oggi) erano stati comunicati domenica sera dal segretario generale dell’Eliseo Emmanuel Moulin. Tante riconferme, Retailleu all’Interno, Barrot agli Esteri, Darmanin alla Giustizia, Dati alla Cultura, una piccola sorpresa, Roland Lescure all’Economia, e un ritorno controverso, che secondo la maggior parte degli osservatori avrebbe causato la caduta di Lecornu: quello di Bruno Le Maire, ministro dell’Economia dal 2017 al 2024, nominato alla Difesa, ossia nel posto lasciato vacante proprio dal capo di governo. Il ministro dell’Interno e presidente dei Républicains (Lr) Bruno Retailleau, pochi minuti dopo l’annuncio, ha denunciato un esecutivo che “non riflette la rottura promessa”, minacciando le dimissioni e di trascinare con sé gli altri ministri Lr, senza specificare che tali dichiarazioni erano figlie della nomina a sorpresa di Le Maire alla Difesa, ma facendovi chiaramente riferimento. Dopo aver “escluso categoricamente” l’ingresso nel governo solo due settimane fa, Le Maire, in esilio in Svizzera, aveva giustificato la sua virata con “le circostanze eccezionali che sta attraversando la Francia”. “Sono qui per servire i francesi. Sono qui per servire i nostri soldati”, ha dichiarato domenica sera su X. Secondo una fonte informata sulle trattative sentita da BfmTv, l’ex ministro dell’Economia è stato contattato una prima volta dal segretario generale dell’Eliseo Emmanuel Moulin, che lo ha chiamato due volte venerdì 3 ottobre, poi dal primo ministro sabato e dal presidente Macron domenica. Dopo aver ribadito il suo rifiuto, Le Maire ha accettato l’incarico chiave in questo momento di “riarmo” del paese. Ma i suoi avversari ed ex alleati gollisti, che lo considerano uno dei responsabili dello sbandamento finanziario della Francia, hanno immediatamente attaccato la nomina. La leader del Rassemblement national Marine Le Pen ha deriso il ritorno “patetico” dell’“uomo che ha portato la Francia alla bancarotta” e il suo alleato Éric Ciotti ha deplorato “il ritorno dell’uomo dal debito di 1.000 miliardi”. A sinistra, il leader dei senatori socialisti Patrick Kanner ha ironizzato sul ritorno del “Mozart della finanza che ha rovinato il nostro paese”, mentre la leader degli Ecologisti Marine Tondelier ha denunciato “il premio all’incompetenza”. Ma Le Maire, soprattutto, è stato il nome che ha acceso la miccia all’interno di Lr, che nel pomeriggio aveva accettato di rimanere al governo dopo lunghe esitazioni e una riunione in cui erano emerse alcune divisioni. La scelta di Le Maire, ex membro di Lr che si è unito a Macron nel 2017, ha irritato il suo ex partito, che ha deciso di far saltare il banco. “Non sussistevano più le condizioni per esercitare le mie funzioni e permettere al governo di presentarsi domani davanti all’Assemblea nazionale. Per tre motivi. Il primo è che questi partiti politici hanno fatto finta di non vedere il cambiamento, la profonda rottura, di non avvalersi del 49.3 (articolo-salvagente della Costituzione che permette di approvare una legge bypassando il voto del Parlamento). Non c’era più alcun pretesto per cui i parlamentari potessero rifiutarsi di fare il loro lavoro”, ha deplorato il primo ministro dimissionario in un discorso pronunciato dalla sede del governo, a rue de Varenne. Il secondo motivo, ha detto Lecornu, è l’ostilità dei partiti al compromesso: “Mi sono trovato in una situazione in cui ero disposto a scendere a compromessi, ma ogni partito politico vuole che l’altro adotti integralmente il proprio programma”, ha dichiarato l’ormai ex capo dell’esecutivo. Infine, “la composizione del governo all’interno della base comune non è stata fluida e ha dato luogo al risveglio di alcuni appetiti di partito, talvolta non privi legame (...) con le future elezioni presidenziali”, ha concluso Lecornu, invitando gli altri leader a essere “più altruisti” e a “mettere da parte certi ego”: un riferimento con ogni probabilità a Bruno Retailleau, ma non solo. Lecornu, scuola gollista prima di diventare un fedelissimo di Macron, ha ereditato una scena politica frammentata dopo la dissoluzione dell’Assemblea nazionale decisa dal presidente nel giugno 2024, che ha prodotto un emiciclo diviso in tre blocchi, sinistra, centro macroniano, e destra sovranista, nessuno dei quali dispone di una maggioranza assoluta. Macron lo aveva nominato per trovare dei compromessi sulla legge di bilancio, allargare la maggioranza e creare un governo di interesse generale cercando la sponda della sinistra responsabile, socialisti, ecologisti e comunisti, senza perdere il consenso della destra repubblicana. Ma ha fallito su tutto. Lui stesso si era definito “il primo ministro più debole della Quinta Repubblica”, e da lunedì 6 mattina è anche il più effimero, meno di un mese, ventisette giorni a Matignon. Martedì 7 ottobre Lecornu era atteso all’Assemblea nazionale per il Dpg, il tradizionale discorso di politica generale in cui il primo ministro presenta le grandi linee del futuro mandato. Ma non ci sarà nessun discorso. Le dimissioni di Lecornu hanno generato la reazione immediata dei mercati finanziari. Il Cac 40, l’indice di riferimento della Borsa di Parigi, ha ceduto l’1,75%. Da destra a sinistra, si invoca lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e il ritorno alle urne. Alcuni, come il sindaco gollista di Cannes David Lisnard, chiedono a Macron di dimettersi perché “è in gioco la Quinta Repubblica e il futuro del nostro paese”.
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