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Estero
Dentro la missione segreta della Cia per sabotare la coltivazione di oppio in Afghanistan
Oggi 16-11-25, 05:47
In vent’anni di guerra incessante in Afghanistan, gli Stati Uniti hanno sganciato dal cielo una moltitudine di armi: milioni di tonnellate di ordigni. Missili Hellfire lanciati da droni Predator. Persino la “madre di tutte le bombe”, l’ordigno non nucleare più potente esistente. E, tra i proiettili più convenzionali, minuscoli semi di papavero. A miliardi. Per oltre un decennio, a intermittenza, la Central Intelligence Agency (Cia) ha portato avanti un’audace e altamente classificata operazione per manipolare clandestinamente la redditizia coltivazione di papavero dell’Afghanistan, ricoprendo i campi degli agricoltori afghani con semi appositamente modificati che generavano piante contenenti quasi nessuna delle sostanze chimiche da cui si ricava l’eroina, ha appreso il Washington Post. Il programma segreto, mai reso pubblico finora, rappresenta un capitolo non raccontato della guerra statunitense in Afghanistan dal 2001 al 2021 e della lunga e controversa storia degli sforzi americani per contrastare il narcotraffico nel mondo, dall’America Latina all’Asia. La sua esistenza è stata confermata da 14 persone a conoscenza dell’operazione, tutte anonime perché si tratta di un progetto classificato. La rivelazione avviene mentre la guerra alla droga torna a dominare l’agenda della sicurezza. Il presidente Donald Trump ha dichiarato guerra ai cartelli del narcotraffico nell’emisfero occidentale, ordinando più di una dozzina di attacchi letali contro presunte imbarcazioni della droga nei Caraibi e nel Pacifico orientale, designando i cartelli come gruppi terroristici e dispiegando una vasta forza navale e aerea nella regione. Ha inoltre autorizzato la Cia ad agire in modo aggressivo contro i narcotrafficanti e i loro sostenitori. Secondo ex funzionari coinvolti nelle precedenti guerre alla droga, anche questo nuovo sforzo – come la lotta all’oppio in Afghanistan vent’anni fa – ha prospettive di successo incerte. Nei primi anni 2000 in Afghanistan, il crescente commercio di oppio ostacolava gli obiettivi statunitensi, mentre le truppe americane erano impegnate in un conflitto mortale contro i talebani, contro i gruppi terroristici e a stabilizzare il fragile governo sostenuto dall’occidente. L’eroina afghana alimentava la corruzione nel governo del presidente Hamid Karzai e nelle province dell’Afghanistan. Finanziava armi ed equipaggiamento dei talebani. E rappresentava la maggior parte della produzione mondiale di eroina, destinata perlopiù all’Europa e all’ex Unione sovietica. Gli alleati occidentali e le agenzie statunitensi discussero animatamente su quali strategie potessero intaccare la coltivazione senza alienare il sostegno rurale a Karzai. Diplomatici e funzionari antidroga valutarono tutto: dall’irrorazione aerea di erbicidi all’acquisto dell’intero raccolto nazionale per convertirlo in medicinali all’estero. Quasi nessuno sapeva che la Cia stesse portando avanti un proprio programma segreto di eliminazione dell’eroina, gestito dal Crime and Narcotics Center dell’agenzia, che durante la guerra afghana disponeva di ampi finanziamenti. I lanci aerei dei semi modificati iniziarono nell’autunno del 2004, secondo tre persone informate sui fatti. L’operazione fu sospesa almeno una volta e si concluse intorno al 2015. Gli operatori clandestini, inizialmente con aerei britannici C-130, volavano di notte per non essere individuati, disperdendo miliardi di semi “speciali” sopra vaste aree dei campi di papavero afghani, raccontano fonti informate. I lanci avvenivano nelle province di Nangarhar e Helmand, centri storici della coltivazione. Per quanto noto, i semi non erano modificati geneticamente tramite tecniche di gene editing – tecnologia ancora non diffusa all’epoca – ma selezionati nel tempo per produrre piante con livelli estremamente bassi degli alcaloidi da cui si ricava l’eroina. Rimangono poco chiari i dettagli su quando e come furono sviluppati, ma una fonte afferma che il processo richiese anni e comportò incroci con semi di papavero tradizionali. Una volta dispersi, l’obiettivo era che le nuove piante si incrociassero con quelle locali e, col tempo, ne sostituissero la varietà dominante, riducendo la potenza del raccolto complessivo. Molti aspetti del programma restano classificati: budget, numero di voli, prove concrete dell’efficacia. Era un segreto così ben custodito che alcuni alti funzionari del Pentagono e del dipartimento di stato, coinvolti nelle politiche afghane sotto Bush e Obama, affermano di non essere mai stati informati, o di averne sentito solo vaghe voci. La Cia richiese un’autorizzazione classificata chiamata “finding” da parte di Bush per condurre i voli e le altre attività dell’operazione, secondo due ex funzionari statunitensi. Tale autorizzazione rendeva il programma legale agli occhi del governo americano. Un portavoce della Cia ha rifiutato di commentare dopo aver ricevuto l’elenco dei dettagli del Washington Post. Anche gli ex portavoce delle amministrazioni Bush e Obama hanno rifiutato di commentare. Il governo afghano guidato da Karzai non fu informato all’avvio del programma, secondo fonti informate. Non è chiaro se lo venne a sapere più tardi. Karzai non ha risposto a una richiesta di commento inoltrata tramite un collaboratore. L’ambasciata britannica a Washington non ha risposto a una richiesta di commento. Antonio Maria Costa, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e i crimini dal 2002 al 2010, afferma di aver sentito voci su un programma simile, ma di non aver mai avuto conferme. Quando il programma in Afghanistan stava terminando, intorno al 2015, funzionari statunitensi discussero la possibilità di usare lo stesso metodo non convenzionale contro i campi di papavero in Messico, un altro grande produttore di eroina, secondo due persone informate. La proposta fu scartata perché in Messico i papaveri crescono su piccoli appezzamenti in zone collinari, difficili da raggiungere con semine aeree, a differenza delle pianure dell’Afghanistan sudoccidentale, dove si coltivava la maggior parte del papavero, ha spiegato una delle fonti. “Un pensiero fuori dagli schemi” Il complessivo programma di contrasto al narcotraffico in Afghanistan è stato un fallimento, riconoscono i funzionari occidentali. Era destinato al fallimento per via delle dispute tra agenzie a Washington; dei contrasti con gli alleati, tra cui la Gran Bretagna che guidava lo sforzo internazionale; del sostegno incostante di Karzai; e del radicamento culturale ed economico della coltivazione del papavero nelle aree rurali. Il Pentagono si oppose ripetutamente a un maggiore coinvolgimento nella guerra alla droga afghana, sostenendo che avrebbe distratto dalla missione principale di combattere i talebani e i terroristi islamisti. Diversi ex funzionari della Cia e del dipartimento di stato affermano però che il programma di semina segreta dell’agenzia riuscì, per un certo periodo, a degradare la potenza del raccolto di papavero. Fu però estremamente costoso, assorbendo gran parte del budget operativo del Crime and Narcotics Center. Il budget dell’unità – confluita nel centro dedicato all’emisfero occidentale durante la seconda Amministrazione Trump – è classificato. “C’era la sensazione che funzionasse. Ma forse col tempo funzionò sempre meno. Il gioco non valeva più la candela”, afferma un ex funzionario che lesse i rapporti sul programma. “In realtà è un esempio di pensiero creativo, fuori dagli schemi. … Affrontava un problema in modo non cinetico, non militare”. Altri, a conoscenza del programma, si dichiarano meno colpiti dai risultati, sostenendo che non ebbe alcun impatto duraturo sulla produzione di oppio e offrì ai decisori dell’Amministrazione Bush una scusa per evitare decisioni difficili nella guerra alla droga. Un rapporto del 2018 dello Special inspector general for Afghanistan reconstruction (Sigar) concluse: “Nessun programma antidroga intrapreso dagli Stati Uniti, dai suoi alleati o dal governo afghano ha prodotto riduzioni durature nella coltivazione del papavero o nella produzione di oppio”. Il Sigar non era stato informato dell’operazione segreta della Cia. Dal 2001 gli Stati Uniti hanno speso circa 9 miliardi di dollari per tentare di arginare il flusso di eroina dall’Afghanistan. Il raccolto diminuì sensibilmente fra il 2007 e il 2011, per poi risalire e impennarsi dopo il 2016, secondo il Sigar, che cita dati Onu e Cia. Per anni i talebani trassero profitto dal traffico di eroina, anche se i funzionari americani discordavano su quanto fosse centrale per le loro finanze. La guerra sull’irrorazione Gli Stati Uniti hanno combattuto per decenni il narcotraffico in tutto il mondo, intercettando carichi, infiltrando reti criminali, extradando boss della droga. Trump ha definito il problema una minaccia alla sicurezza nazionale pari al terrorismo internazionale e ha autorizzato l’uso della forza militare contro presunti narcotrafficanti in mare – azioni che diversi ex funzionari e giuristi considerano in violazione del diritto internazionale. Ha fatto pressione anche sul piano economico, suggerendo di abbassare i dazi sulla Cina in cambio di una riduzione delle esportazioni dei precursori chimici usati per il fentanyl. Per le coltivazioni da cui si ricavano narcotici, Washington ha provato di tutto. In Colombia, i fondi americani hanno finanziato ampie irrorazioni aeree dell’erbicida glifosato sulle piantagioni di coca. Gli Stati Uniti rivendicarono il successo nel ridurre la coltura. In Perù, le agenzie antidroga testarono una capsula contenente erbicida, ma non fu mai sganciata, racconta un ex funzionario. In Afghanistan, il Bureau of International Narcotics del dipartimento di stato sostenne un’aggressiva irrorazione aerea sul modello colombiano. Pentagono, Cia e governo britannico si opposero, sostenendo che avrebbe compromesso gli sforzi per conquistare il sostegno degli afghani contro i talebani. Anche i funzionari afghani si dichiararono contrari, affermando che le sostanze chimiche avrebbero potuto contaminare le falde acquifere di una società profondamente agricola. L’ambasciatore americano in Afghanistan William Wood, già ambasciatore in Colombia, era così favorevole all’irrorazione che offrì di sedersi, indossando solo un costume da bagno, in una vasca di glifosato a Kabul per dimostrarne la sicurezza, riferiscono tre ex alti funzionari. Era soprannominato “Chemical Bill”. “Sono un tipo da irrorazioni,” disse Bush a Karzai durante un collegamento video, ricorda un ex funzionario. “Non in Afghanistan”, replicò l’afghano. Gli Stati Uniti erano così certi che Kabul avrebbe approvato il piano che trasferirono glifosato e attrezzature per le irrorazioni terrestri nella capitale, secondo il Sigar. Ma il governo afghano lo bocciò nel gennaio 2007. Non ci fu mai alcuna irrorazione significativa dei papaveri afghani, confermano vari ex funzionari. Con lo stallo sull’irrorazione, l’Amministrazione Bush esplorò metodi più insoliti. “Cercavano costantemente una sorta di proiettile d’argento”, dice l’ex giornalista Gretchen Peters, autrice di un libro del 2009 sui legami tra talebani e narcotrafficanti. Alcune proposte erano molto esotiche. Funzionari del dipartimento di stato considerarono l’uso di micotossine, veleni prodotti da funghi, spiegano due ex funzionari. Dal 1998 Onu e Stati Uniti avevano finanziato ricerche in un laboratorio ex sovietico in Uzbekistan su un fungo capace di infettare e uccidere il papavero da oppio. Ma c’era un problema: le tossine avrebbero potuto uccidere anche le colture alimentari afghane, causando fame. “Non potevamo usare un agente patogeno non sicuro. Sarebbe guerra biologica”, afferma John Walters, direttore dell’ufficio nazionale anti droga sotto Bush. Walters, ora presidente dell’Hudson Institute, ha rifiutato di commentare il programma della Cia. Un raccolto amaro Il programma segreto della Cia procedeva anche mentre infuriava il dibattito sull’irrorazione, con i primi lanci nel 2004. Richiedeva tempismo e organizzazione perfetti, e fu preceduto da anni di ricerca agricola segreta. I semi venivano coltivati negli Stati Uniti, incrociati con piante normali per testarne il risultato, e poi prodotti in massa, racconta una fonte. I semi dovevano essere lanciati in tarda autunno, quando gli agricoltori piantavano i loro. Bisognava “fare attenzione che non fossero troppo riconoscibili”, in modo che i contadini non sospettassero nulla, ma anche “fare in modo che col tempo diventassero la varietà dominante”, spiega un ex funzionario informato sulle fasi iniziali del programma. Le piante americane non solo contenevano quasi zero morfina, ma erano selezionate per germogliare presto e produrre fiori rossi particolarmente vivaci, così da risultare attraenti per gli agricoltori che, sperava la Cia, avrebbero raccolto e ripiantato i semi. C’era anche la speranza, dicono diversi funzionari, che i contadini conservassero e vendessero parte dei semi, diffondendoli attraverso i mercati agricoli. Le aree già interessate dai lanci venivano colpite di nuovo negli anni successivi, con l’obiettivo di far diventare le piante modificate la varietà dominante, afferma l’ex funzionario. I progressi del programma venivano valutati in vari modi. La sorveglianza aerea e le immagini satellitari mostravano gli agricoltori mentre eliminavano le piante improduttive. Le intercettazioni rivelavano conversazioni tra coltivatori di oppio. E talvolta funzionari statunitensi effettuavano verifiche sul terreno, mascherando il vero scopo della loro visita. L’operazione continuò anche sotto Obama e fu discussa al Comitato dei vice consiglieri per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca. Il programma, sempre costosissimo, finì per ragioni finanziarie, sostengono numerose fonti. Il budget dell’unità antidroga della Cia era sotto pressione e l’agenzia cercò di convincere Pentagono, Dea e dipartimento di stato a finanziare i lanci. Negli ultimi anni, il Bureau of International Narcotics del dipartimento di stato finanziò almeno carburante e manutenzione degli aerei, ma non effettuò mai lanci propri, affermano le fonti. Per quasi vent’anni tra gli agricoltori afghani circolavano voci secondo cui stranieri avrebbero danneggiato le loro coltivazioni di papavero, tramite irrorazioni clandestine, fertilizzanti alterati o diffusione deliberata di malattie. Voci che, si scopre ora, non erano del tutto infondate. Quando, nel 2021, l’esercito americano – e la Cia – si ritirarono definitivamente dall’Afghanistan in modo caotico, il commercio di oppio rappresentava tra il 9 e il 14 per cento del pil del paese, ossia tra 1,8 e 2,7 miliardi di dollari, secondo l’Unodc. Dopo aver ripreso il potere, i talebani bandirono la produzione di oppio. Nel 2023, la coltivazione era crollata del 95 per cento. Ma lo scorso anno è risalita del 19 per cento, riferisce l’Onu, spostandosi verso il nord-est del paese, lontano dalle aree tradizionali un tempo prese di mira dalla Cia. Warren P. Strobel Copyright Washington Post
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