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Eraldo Monzeglio, il terzino del Duce. Un libro, uno storia inedita
16-09-2024, 05:55
Eraldo Monzeglio fu due volte campione del mondo con la Nazionale di Vittorio Pozzo, vinse uno scudetto con il Bologna, e poi da allenatore guidò, tra le altre, Napoli, Juventus e Sampdoria. Non diventò ct dell’Italia, probabilmente perché troppo ingombrante era il suo passato di fascista. Monzeglio infatti non fu soltanto il maestro di tennis dei figli di Mussolini, ma della famiglia allargata del Duce fu parte assolutamente integrante. Nell’ottimo libro di Alessandro Fulloni “Il terzino e il Duce”, appena uscito per Solferino, vengono a galla, grazie alla capacità giornalistica dell’autore, particolari inquietanti e clamorosi che fanno diventare la biografia di Monzeglio, scritta come fosse un romanzo, una sorta di spy story. Fulloni è riuscito a realizzare un’intervista di molte ore al novantasettenne Claudio Cimnaghi, un amico molto stretto di Monzeglio, il quale invece pochissimo aveva fatto trapelare della sua vita. Leggendo il volume non si può non pensare al fatto che nessuno prima del giornalista del Corriere della Sera abbia avuto l’idea di scrivere un libro del genere. Non sono stati d’aiuto la scarsa voglia di parlare dell’ex campione del mondo e certi contatti che gli erano rimasti ancora in tarda età. Dopo la finale scudetto del 1929, che regalò la vittoria del campionato al Bologna sul Torino, il ras della città emiliana e presidente della Federcalcio Leandro Arpinati accompagnò come premio i calciatori bolognesi a Villa Torlonia. Lì Eraldo conobbe il Duce. In quell’estate sul lungomare di Riccione, dove trascorrevano abitualmente le vacanze i Mussolini, il calciatore salutò i figli Vittorio e Bruno, dodici e dieci anni, già innamorati del pallone e curiosi di parlare con quel campione di Serie A. A pochi passi a seguire la scena donna Rachele. Rimarranno in contatto. Il tennis li unì, prima a Riccione e poi a villa Torlonia, dove il Duce aveva fatto costruire un campo. Monzeglio, oltre che “istruttore ginnico dei Mussolini”, aveva iniziato a giocare tutte le mattine anche con Benito. Per Mario Belardinelli, eminenza grigia del tennis tricolare, l’uomo che costruì la Nazionale italiana che vinse la Davis nel 1976, Mussolini “non aveva rovescio né battuta e giocava di gomito, prendendo la palla vicino al corpo, nel peggior stile possibile”. Ma con queste caratteristiche tecniche, evidentemente non di primo piano, batteva regolarmente Eraldo, vantandosene con l’amante Clara Petacci senza che gli venisse alcun dubbio che l’avversario gli concedesse la vittoria. Sono pagine queste in qualche maniera divertenti e paradossali. Ormai Eraldo è uno di famiglia. Quando nel 1941 il pilota militare, capitano dell’Aeronautica, Bruno Mussolini morì, schiantato a Pisa durante un volo di collaudo, il Duce chiamò Monzeglio perché fosse lui a organizzare il funerale. L’anno dopo, mentre era una sorta di direttore sportivo della Roma che avrebbe vinto lo scudetto, si arruolò come volontario e partì per il fronte russo, dove ebbe modo di conoscere un giovane Gianni Agnelli. Durante la Repubblica di Salò i Mussolini si trasferirono a Villa Feltrinelli, dove Monzeglio trovò dimora nella casa del custode. La sua qualifica era quella di capomanipolo, una camicia nera, insomma. Il giallo ora si fa avvincente perché, riferisce l’autore del libro, Monzeglio riuscì ad agganciarsi con naturalezza anche alla vita della Repubblica nata sulla Resistenza. Di tutta la banda Mussolini, di cui custodiva ogni inconfessabile segreto, fu il solo ad attraversare indenne il crollo del fascismo. Il portiere di Inter e Juventus Giuseppe Perucchetti, partigiano e compagno di lotta di Beppe Fenoglio, in carcere a Torino nei giorni della Liberazione, proprio quando stava temendo il peggio per la propria vita, venne fatto uscire. All’esterno del carcere c’era Monzeglio e ad aspettarlo un’auto del Comitato di Liberazione mandata da Ferruccio Parri. “Da Mussolini a Parri, che incredibile sgroppata sull’out, quella di Monzeglio”, scrive Fulloni. Già nei giorni successivi alla Liberazione, Eraldo si faceva vedere allo Stadio Sinigaglia di Como, dove iniziò la sua carriera di allenatore che lo portò ad allenare anche Sivori alla Juventus. Morirà a Torino il 3 novembre 1981. Preferendo sempre parlare di calcio anziché di quegli anni.
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