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Politica
Fiano ci spiega cosa avrebbe voluto dire ai ragazzi fascisti che gli hanno impedito di parlare
Oggi 29-10-25, 06:16
Mi hanno impedito di parlare. Hanno deciso che rientravo in una categoria umana, politica e culturale cui la parola è preclusa: “I sionisti”. “Emanuele Fiano è un sionista”, hanno scritto. Dunque, non può parlare e non può entrare nelle università. L’unica opinione ammissibile, per loro, è la propria. L’unica “pace” che immaginano in medio oriente è quella dello stato palestinese “dal fiume al mare”. Senza lo stato di Israele. Erano giovani, molto giovani – poco più dei miei figli. Eccitati, dietro gli striscioni; divertiti, ridevano. Si sentivano protagonisti di una festa: la festa in cui “non si fa parlare Emanuele Fiano, il sionista”. Hanno preso il microfono e, con puntiglio, hanno esordito: “Non siamo antisemiti. Respingiamo l’antisemitismo”. Inutilmente, nell’unico minuto in cui sono quasi riuscito a dialogare, ho provato a spiegare che l’antisionismo, quando nega il diritto all’autodeterminazione di un popolo mentre si difende lo stesso diritto per tutti gli altri popoli della Terra, smette di essere mera contrapposizione politica e diventa antisemitismo. Se neghi al popolo ebraico ciò che rivendichi per gli altri – il diritto di autodeterminarsi – stai compiendo una discriminazione. Il diritto vale per tutti i popoli, o non è un diritto. In molti mi chiedono: “L'altro ieri era solo antisionismo o anche antisemitismo? Sei stato attaccato in quanto ebreo? E da sinistra?”. Racconto un episodio. Uno di quei ragazzi mi ha detto: “Qui non puoi parlare. A noi della tua risposta non interessa nulla. Non vogliamo che tu entri in università”. Mentre lo diceva, guardandomi con occhi di ghiaccio, sul fondo dell’aula alcuni suoi compagni, sghignazzando, facevano con la mano il gesto della P38 rivolto verso il pubblico. Allora mi sono rivolto al ragazzo che mi stava comunicando che mi era preclusa la parola e gli ho detto: vedi, voi siete fascisti, tecnicamente fascisti, come nei regimi dittatoriali o totalitari negate la parola a chi non la pensa come voi. O forse negate la parola per quello che io sono, ma il risultato è lo stesso. Che sia antisemitismo o antisionismo a me poco importa. Per la mia generazione quel gesto, della P38, non è folclore. Ha un rimando preciso: l’inizio degli anni di piombo, la protesta che si trasforma in violenza. E’ la memoria di Antonio Custra, il poliziotto ucciso in via De Amicis a Milano durante un corteo. L’insieme di quello sguardo che mi diceva “tu qui non ci puoi stare”, di quelle mani alzate a simulare una pistola, e dell’indifferenza per qualunque argomento – a loro interessava solo incasellarmi in una categoria da escludere – mi ha spaventato. E, più ancora, mi ha fatto paura la naturalezza con cui la discriminazione veniva presentata come virtù politica. Si può contestare, si deve discutere. Si può criticare il governo di Israele, come qualsiasi governo. Ma negare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, cancellare lo stato di Israele dalla carta, impedire la parola a chi non si allinea: questo non è dibattito, è totalitarismo. E’ la scorciatoia identitaria di chi confonde l’aula con una tifoseria e la storia con uno slogan. Le università esistono per il confronto delle idee, non per stilare liste di proscrizione. Chi brandisce la parola “pace” per zittire, chi pronuncia “diritti” e poi li sottrae a una minoranza, tradisce entrambe. La libertà di espressione non è un favore concesso agli amici: è la regola che protegge tutti, soprattutto le minoranze e i dissenzienti. Vale per me oggi, varrà per loro domani. Non chiedo applausi. Chiedo che nelle università italiane nessuno – nessuno – venga espulso dal discorso pubblico per etichetta politica, origine o religione. Chiedo che si torni a studiare, a leggere le fonti, a discutere senza minacciare. Chiedo che il gesto della pistola resti nei manuali di storia, non nelle aule. Perché quando qualcuno decide chi può parlare e chi no, siamo già usciti dalla politica e siamo entrati nella violenza, che sai quando inizia ma non quando finisce. E quando l’antisionismo diventa negazione di un diritto riconosciuto a tutti gli altri, ha già superato il confine dell’antisemitismo. Suggerisco di non abbassare la guardia su questi segnali.
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