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                                                Estero
                            I mille volti delle elezioni a Miami
                                
                                Ieri 03-11-25, 19:40                            
                                                            Oltre i risultati di New York, c’è una città che al contrario della Grande Mela è il bastione urbano dei repubblicani negli Stati Uniti: il riferimento è a Miami, in Florida. La più grande metropoli del Sunshine State è un’eccezione anche per gli stati conservatori. Infatti, i maggiori centri di bastioni repubblicani come Texas o Tennessee sono comunque governati dai democratici. Non è questo il caso. Il trend potrebbe comunque cambiare: l’occasione è data dal limite di mandato del sindaco Francis Suarez, che termina i suoi otto anni alla guida della città. I candidati a succedergli sono tantissimi, una dozzina circa, a causa della particolare legge elettorale cittadina: i candidati non devono indicare la loro affiliazione partitica, anche se è comunque nota agli elettori, e quindi non esistono primarie. Se nessuno dei candidati supera il 50%, nel giro di una settimana si torna alle urne, eventualità che non accade da oltre vent’anni. Questa volta la probabilità è alta, dato che ci sono molti candidati di alto profilo. Sul tavolo c’è la difesa del modello promosso da Suarez: mancanza di regolamentazione, tasse bassissime sugli immobili e uno sviluppo urbanistico che gli esperti hanno definito “neoliberista”. I promotori dicono che questo andazzo, che potrebbe condurre a una cancellazione delle tasse cittadine sulla prima casa fortemente spinto dal governatore Ron DeSantis, ha fatto crollare il numero di senzatetto e ha reso la città più sicura. I democratici controbattono affermando che il 56% dei residenti vive da uno stipendio all’altro, senza mettere nulla da parte. A essere alfiere della continuità è Emilio Gonzales, ex direttore del Servizio Immigrazione ai tempi della seconda amministrazione di George W. Bush e più recentemente city manager, che per questo si è guadagnato il sostegno dell’establishment politico di uno stato che da oltre dieci anni si è trasformato in un bastione conservatore dopo essere stato a lungo uno stato in bilico. Per questo le elezioni sono particolarmente importanti. Perché a causa delle divisioni nelle fila repubblicane, potrebbe prevalere Eileen Higgins, attuale consigliera di contea ed ex candidata al Congresso, che ha astutamente evitato di coinvolgere nella sua campagna elettorale figure nazionali per non farsi bollare come di “sinistra”. Epiteto che le è comunque arrivato, guadagnandole anche l’appellativo di “estrema” decisamente fuori luogo per una candidata dem molto lontana dalle idee socialiste. Appellativo che in città peraltro è tossico a causa dell’ampia comunità cubano-americana che collega quel termine al regime castrista. I bollini ideologici però valgono a poco in una contesa dove spesso i rancori personali prevalgono sul confronto politico: per favorire Gonzales, l’influencer trumpiana Laura Loomer, residente in Florida, ha definito il suo rivale ed ex sindaco Joe Carollo come “woke”. Termine totalmente insensato per una figura politica che è nota per gli insulti a sfondo razziale, buon ultimo quello appioppato a un altro candidato, il dem Ken Russell, di origini asiatiche, definito come “somigliante a Kim Jong Un”. A essere spesso citata è anche la vicenda legata alla biblioteca presidenziale di Donald Trump che si dovrà erigere proprio in città in un terreno messo a disposizione dal Miami Dade College. Si insinua, infatti, che con un dem alla guida della città, Trump “cambierà” idea. Mentre finora ci sono stati lucrosi eventi: infatti nel 2026 ci sarà il G20 nel Golf Club di proprietà del presidente e nello stesso anno si giocheranno anche molte partite del Mondiale di Calcio. Tutto passibile di cancellazione, sempre con la vittoria dell’opposizione. Argomenti non particolarmente elevati che però mostrano come il fronte repubblicano proceda in ordine sparso senza nemmeno un endorsement da parte di Donald Trump: solo il già citato Carollo ha tentato di attribuirselo con un post social che mette insieme sue vecchie foto dicendo “sempre al suo fianco”. Un’ipotesi però smentita dalla Casa Bianca, che di certo non vuole sostenere un possibile “perdente”. Perché, se i repubblicani venissero deposti dopo decenni di governo, sul banco degli imputati Trump sarebbe comunque esente da critiche. Mentre a farne le spese sarebbe “l’estremismo” del governatore DeSantis, che il presidente non ha mai perdonato per aver osato “sfidarlo” alle primarie presidenziali del 2024. E i dem statati potrebbe dire, a buon diritto, di non essere più una specie in via d’estinzione, ma di poter dire la loro anche in ottica elezioni di midterm il prossimo anno.
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