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Economia e Finanza
Il dilemma di von der Leyen sull’automotive, mentre Byd muove i primi passi in Europa
Ieri 09-09-25, 15:42
Non sarà facile domani per Ursula von der Leyen tenere il suo annuale discorso sullo stato dell’Unione davanti al Parlamento europeo. Appare scontato che i suoi membri coglieranno l’occasione per criticare la Commissione su un ampio ventaglio di temi, fra cui il lento ridimensionamento del Green deal, pacchetto di leggi approvato la scorsa legislatura per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Su questo punto la presidente è stretta fra incudine e martello, sul lato politico e industriale. Von der Leyen ha più volte cercato di ritoccare le politiche ecologiste europee per compiacere i desiderata del Ppe, il suo partito. Ma se popolari e destra estrema spingono per smantellare la strategia green di Bruxelles, i socialisti di S&D non ci stanno. Lo scorso 26 giugno hanno addirittura minacciato di sfilarsi dalla maggioranza che sostiene la presidente, qualora questa avesse accettato ulteriori retromarce. Von der Leyen dovrà mostrarsi capace di tenere insieme tutti i pezzi. Non solo domani, ma anche al tavolo del 12 settembre, in cui avrà di fronte diversi esponenti dell’automotive europeo, fra i settori più esposti ai vincoli ecologici da raggiungere entro il 2035. Le voci critiche emerse negli ultimi anni verso gli stringenti target di riduzione delle emissioni ed elettrificazione sono numerose tra gli operatori. L’ultima è quella di Jean-Philippe Imparato, direttore di Stellantis Europe: “Gli obiettivi europei fissati per il settore auto per il 2030 e 2035 non sono più raggiungibili – ha detto ieri dal Salone dell’auto di Monaco – a meno che non si ipotizzi di andare incontro a un crollo del mercato di circa il 30 per cento o al tracollo finanziario di tutti i produttori in Europa”. Questi ultimi continuano a presentare modelli full electric per rafforzare la propria quota di mercato e inseguire Pechino. Volkswagen prevede di lanciarne di nuovi entro il 2026 a prezzi più accessibili. Ma la fiducia di Wolfsburg si scontra con il nervosismo di quattro colossi della componentistica tedesca come Bosch, Mahle, Schaeffler e ZF, che a fine agosto hanno rilanciato l’allarme per il bando delle vetture termiche in una lettera indirizzata al Cdu, il partito tedesco di cui von der Leyen è membro. “La situazione sta precipitando”, hanno scritto, auspicandosi “un deciso cambio di rotta”, anche se “finora la Commissione Ue non ha mostrato segni di ripensamento”. Il settore sembra compatto contro gli obiettivi green di Bruxelles, ma alcune sacche vanno in una direzione opposta. Ieri, oltre 150 aziende tra costruttori di auto elettriche, produttori di batterie e operatori di sistemi di ricarica hanno esortato von der Leyen a lasciare tutto com’è. “Tenga duro e confermi l'obiettivo” dello stop all'immatricolazione di auto con motori termici, si legge in una loro lettera aperta. Il timore, stavolta, è che un rimaneggiamento dei target mandi in fumo gli ingenti investimenti in elettrico degli ultimi anni, mettendo a rischio gli oltre 150 mila posti di lavoro di questa nuova filiera. Un passo indietro “minerebbe la fiducia degli investitori”, si legge, e regalerebbe il comparto alla Cina. La quale, però, è già sulla strada giusta per prenderselo da sé. Un colosso come Byd, ad esempio, è in Europa già da un pezzo. Dal palco di Monaco, la vicepresidente Stella Li ha assicurato che lo stabilimento ungherese sarà pronto a produrre presto nuovi modelli. Il gruppo vuole installare punti di ricarica in territorio europeo e aprirà a stretto giro un design center a Milano. “L’Italia è nella short list per la seconda fabbrica in Europa”, ha aggiunto poi la dirigente, riaprendo un dossier che sembrava ormai chiuso, nonostante le speranze di una parte dell'industria italiana. Eppure, “il costo dell’energia è l’ostacolo più grande”, ha aggiunto Li. Nella missiva della filiera dell’elettrico inviata ieri a von der Leyen la sua firma non c'è, ma l’auspicio della dirigente cinese è analogo: “Spero che l’Europa si attenga al piano originale”. L'ultima parola sarà pronunciata in settimana, tra richieste di passi indietro e ultimatum dei progressisti. Con la Cina dietro le quinte a godersi lo spettacolo.
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