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Economia e Finanza
Il vaffa della Germania all’Europa sul mercato comune
21-09-2024, 06:00
La Germania ha assunto una posizione sovranista sull’intenzione di Unicredit di acquisire Commerzbank, di cui l’istituto italiano è diventato il secondo azionista con il 9%. Ieri il governo tedesco ha comunicato la decisione di non vendere ulteriori azioni di Commerzbank dicendo in una nota che “la strategia della banca è orientata all'indipendenza" e "il governo federale la accompagnerà fino a nuovo avviso, mantenendo la sua partecipazione azionaria". Sembra un'inversione a U, dopo l'annuncio di inizio mese sulla riduzione della partecipazione che sembrava preludere a un'uscita da Commerzbank. Dopo che la tranche ceduta tra il 10 e l'11 settembre è stata acquistata da Unicredit, tutto è cambiato. È comprensibile che vi sia un dibattito a Berlino, soprattutto in un momento di debolezza e incertezza politica come quella che vive il governo Scholz. Ma il “sovranismo bancario” è un atto autolesionistico, non solo e non tanto per le implicazioni positive che la fusione avrebbe sul sistema finanziario tedesco ed europeo, ma anche e soprattutto perché darebbe un’altra picconata alle regole che faticosamente abbiamo costruito e condiviso. Regole di cui spesso la Germania ha chiesto (giustamente) l’applicazione puntuale e che l’Italia ha (malamente) svicolato, ma che oggi sono proprio i tedeschi a calpestare con le proprie reticenze. Non è questione di “interesse nazionale”, che spesso non coincide affatto con l’interesse della classe politica al governo. Gli italiani lo sanno benissimo. Quando la Germania pretende maggiore disciplina fiscale sta perseguendo, oltre al proprio, anche l’“interesse nazionale” italiano, impedendo a un paese indebitato come il nostro di sfasciare ulteriormente il proprio bilancio. Le clausole volute da Berlino nel nuovo Patto di Stabilità, che comportano tra le altre cose una riduzione del debito pubblico di almeno 1 punto percentuale all’anno, sono state viste in Italia come una sorta di atto ostile. In realtà indicano un obiettivo minimo che Roma dovrebbe perseguire autonomamente, senza viverlo come un’imposizione esterna. Sappiamo benissimo qual è l’importanza delle regole fiscali in un’unione monetaria (soprattutto per chi, come l’Italia, chiede a gran voce un bilancio e un debito comuni), anche perché abbiamo visto cos’è successo quando il Patto di Stabilità è stato sospeso: l’Italia, prima con la scusa della pandemia e poi dello shock energetico dovuto alla guerra in Ucraina, ha bruciato 220 miliardi in tre anni (11 punti di pil) in bonus edilizi che hanno consentito a pochi fortunati di ristrutturare la propria casa integralmente a carico dello stato (anzi, addirittura al 110%!). La Germania ha anche ragione a sostenere che, se si vogliono fare progressi verso l’unione bancaria, è necessario che le banche riducano la quota di titoli di stato domestici in proprio possesso: bisogna contenere i rischi per poterli condividere. Ed è anche vero che l’Italia non solo dovrebbe fare di più su questo fronte, ma sta ponendo un insensato veto sul nuovo trattato del Mes che con l’introduzione del backstop comune al Fondo di risoluzione unico sarebbe un fondamentale passo in avanti verso l’Unione bancaria. Ma proprio per queste ragioni, per dare credibilità alle sue posizioni, la Germania dovrebbe essere coerente con i principi che professa e che sono alla base dell’Unione europea e del mercato comune. Quali sono le motivazioni di un’opposizione al matrimonio Unicredit-Commerzbank? Ci sono le comprensibili preoccupazioni da parte dei sindacati per eventuali tagli al personale, ma la politica non può usare questi timori come pretesto per impedire una legittima e importante operazione di mercato. In fondo, i timori dei licenziamenti erano la stessa motivazione sollevata in Italia per chiedere di bloccare la vendita della compagnia aerea statale Ita Airways alla tedesca Lufthansa. Per fortuna, anche dei contribuenti italiani, il governo di Roma non ha ascoltato queste sirene politico-sindacali. Sui giornali sono state sollevate preoccupazioni per l’esposizione della Germania verso l’Italia che la fusione potrebbe comportare, quindi sulla solidità finanziaria di Unicredit dopo l’acquisto di Commerzbank. Ma si tratta di una questione tecnica, più che politica, ed esistono già i presidi istituzionali per valutarla. L’acquisizione è subordinata alla vigilanza e al via libera della Bundesbank e della Banca centrale europea, il cui compito è verificare la sostenibilità degli investimenti dei soggetti vigilati e il mantenimento di requisiti patrimoniali minimi da parte degli istituti. Gli stress test dell’Autorità bancaria europea hanno promosso a pieni voti Unicredit: anzi, gli indici di solidità patrimoniale mostrano che l’istituto italiano è assai più solido sia di Commerzbank sia di Deutsche Bank, la principale banca tedesca e anche quella che, secondo le indiscrezioni, punterebbe a mettere le mani su Commerzbank al posto di Unicredit. Il problema, allora, non è solo che eventuali azioni di contrasto da parte della politica tedesca sarebbero in plateale contraddizione sia con la libera circolazione dei capitali sia con gli sforzi verso l’unione dei capitali che la Germania ha sempre sostenuto (e che ha ogni interesse a sostenere). E non è neppure che l’“interesse nazionale” tedesco coincide chiaramente col rafforzamento del suo sistema bancario, tutt’altro che solido, cosa che spiega la posizione delle imprese tedesche favorevoli all’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit. Il problema è che qualora decidesse di bloccare politicamente l’operazione, la Germania perderebbe legittimità e credibilità nel richiamare i paesi indebitati, come l’Italia, a rispettare i parametri di Maastricht. Ma i principi fondamentali dell’Unione e il mercato comune sono un patrimonio molto più importante della nazionalità di chi controlla questa o quell’altra banca: il vero “interesse nazionale”, sia della Germania sia dell’Italia, sono le regole comuni. Quelle regole che fanno dell’Europa, come si dice in Germania, una Rechtsgemeinschaft: una comunità di diritto.
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