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Estero
La repressione di Maduro costringe il leader dell'opposizione a fuggire in Spagna
08-09-2024, 19:23
Edmundo González Urrutia è arrivato in Spagna per ricevere asilo politico. L’ex-diplomatico, candidato dall’opposizione alla presidenza alle elezioni del 28 luglio, è arrivato a Madrid su un aereo dell'aeronautica militare spagnola poco dopo le 16:00, ora locale. Martedì il suo avvocato aveva detto che non stava in nessuna ambasciata, ma adesso si è saputo che effettivamente aveva trascorso più di un mese nella rappresentanza dei Paesi Bassi a Caracas, proprio per evitare l’arresto. Come riferito dal ministero degli Affari Esteri spagnolo González Urrutia, che viaggia accompagnato dalla moglie e dal segretario di stato per gli Affari esteri e governativi, Diego Martínez Belío, è stato ricevuto dal segretario di stato per l'Iberoamerica e la Spagna nel mondo, Susana Sumelzo. “D'ora in poi inizieranno le procedure per la richiesta di asilo, la cui risoluzione sarà favorevole nell'interesse dell'impegno della Spagna per i diritti politici e l'integrità fisica di tutti i venezuelani, in particolare dei leader politici”, ha riferito il suddetto dipartimento. Poco prima del suo arrivo nella capitale spagnola, la leader dell’opposizione María Corina Machado aveva spiegato la decisione ricordando come la dittatura di Maduro dopo le elezioni ha scatenato “una brutale ondata di repressione”, con ogni sorta di attacchi contro González Urrutia e il suo entourage. “La sua vita era in pericolo, e le crescenti minacce, convocazioni, mandati di arresto e persino i tentativi di ricatto e di coercizione a cui è stato sottoposto dimostrano che il regime non ha scrupoli né limiti nella sua ossessione di farlo tacere e di cercare di sottometterlo”. Maria Corina Machado ha poi aggiunto: “Di fronte a questa realtà brutale, è necessario che la nostra causa preservi la sua libertà, la sua integrità e la sua vita. Questa operazione del regime e dei suoi alleati è un’ulteriore prova del loro carattere criminale, che li delegittima e li affonda ogni giorno di più. Ma, ancora una volta, si sono sbagliati. Il suo tentativo di colpo di stato contro la sovranità popolare non si concretizzerà”. A dare per prima la notizia sabato sera è stata sui social Delcy Rodríguez: la vicepresidente di Maduro (carica che per il sistema costituzionale venezuelano non è eletta assieme al presidente ma da lui nominata, e capo del governo in teoria sfiduciabile con maggioranza qualificata dell’assemblea nazionale). Secondo quanto ha indicato, la dittatura avrebbe concesso un passaggio sicuro all'avversario “per amore della tranquillità e della pace politica”, consentendole la partenza verso l’Europa. Da parte sua, l'ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma, anche lui esule in Spagna, ha assicurato questa domenica che González Urrutia “ovunque si trovi, è il presidente eletto del Venezuela”, poiché i registri delle votazioni “verificate” lo confermano, e la sua validità non varia se il presidente eletto cambia residenza. “Lo riceviamo con il rispetto che merita e con la certezza che saprà svolgere il ruolo storico che dovrà assumere in questo esilio da cui non cesseremo di portare avanti la nostra lotta per realizzare il desiderio di tornare in patria”, ha commentato. E “ora avremo quel duo trionfante formato da María Corina Machado e Edmundo Gonzalez Urrutia che realizzano la stessa agenda di lotta per salvare la democrazia in Venezuela”. Il regime sostiene che ha vinto Maduro con il 51,95 per cento contro il 43,18, ma senza alcuna prova. L’opposizione ha appunto esibito le copie dell’83,5 per cento dei documenti elettorali, secondo cui è stato invece González Urrutia a prevalere col 67,08 contro il 30,48. Il Consiglio elettorale nazionale prima e il Tribunale Supremo di Giustizia, entrambi allineati con il regime, hanno appoggiato la vittoria di Maduro senza esibire i verbali, mentre l’opposizione ha denunciato una “grave frode elettorale”. González Urrutia è stato convocato tre volte per riferire, ma non si è presentato, allegando i rischi che correva. A quel punto è stato emanato un ordine di arresto, collegato a reati associati appunto alla pubblicazione dei verbali. In questo contesto, numerose nazioni, tra cui gli Stati Uniti, l’Unione europea e diversi paesi dell’America latina, hanno rifiutato di riconoscere Maduro come vincitore senza che Caracas pubblicasse dati dettagliati sul voto. Questa domenica, l'alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha affermato che è “un giorno triste per la democrazia” perché González Urrutia dovrà chiedere asilo politico e chiedere la protezione della Spagna, nonostante la clamorosa vittoria che ha ottenuto alle elezioni. Il governo di Pedro Sánchez ha ribadito il suo “impegno per i diritti politici e l’integrità fisica di tutti i cittadini venezuelani”. C’è però una polemica, legata anche al fatto che la mediazione per far uscire González Urrutia è stata fatta da José Luis Rodríguez Zapatero, accusato anche di avere fatto l’osservatore il 28 luglio accreditando le balle del regime. Il Partito Popolare insinua dunque che con la scusa di salvare il leader perseguitato i socialisti lo avrebbero tolto di mezzo dal suo paese, e annunciano in Congresso un voto per farlo riconoscere dalla Spagna come legittimo presidente. L’esilio di González Urrutia avviene mentre polizia e servizi stringono d’assedio l’ambasciata argentina a Caracas. L'ambasciata è stata sgomberata il 31 luglio dai diplomatici dopo la rottura delle relazioni con l'Argentina, in seguito alla decisione di Milei di non riconoscere la vittoria di Maduro. Dentro ci sono però sei dirigenti del partito di María Corina Machado rifugiati. Per questo l’edificio è stato preso dal Brasile sotto una protezione che il governo venezuelano ha unilateralmente dichiarato di non riconoscere più. Dopo la visita di Lula in Colombia il ministro degli Esteri colombiano aveva annunciato un vertice virtuale tra Maduro e i tre presidenti di sinistra che stanno cercando di mediare: Lula, appunto, il colombiano Petro e il messicano López Obrador. Ma il numero due del regime Diosdado Cabello lo ha smentito con una raffica di insulti, definendolo “traditore” e “asservito agli Stati Uniti”.
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