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La Serie A è sempre più una soap opera
Oggi 10-11-25, 14:45
La Serie A come una soap opera, che ricava settimanalmente la propria forza dal ripetersi dei tòpoi. Il riscatto improvviso dei negletti (alla voce Thijs Dallinga), le prime volte - lo stesso Dallinga e il compagno di squadra John Lucumí - quindi i simpatici che stanno antipatici, le sliding doors: nella leva calcistica da Prima Repubblica, il rigore fallito da Lorenzo Colombo spiana la strada al contropiede di Roberto Piccoli, prima di smacchiare l’errore dell’omonimo di Emilio e Cristoforo con un gol scalciando da terra. Nel dominio seriale degli episodi, le trame sono scritte come e più dei mono moduli in dotazione di sicurezza ad ogni tecnico o quasi: pare un gioco di ruolo, dove se ti chiami Ivan Jurić o Stefano Pioli (che pure qualcosa in carriera ha dimostrato, anche quanto a versatilità) hai dieci giornate di tempo per vincere un congruo numero di partite, altrimenti scatta il licenziamento. Nessun progetto, vale solo non perdere soldi (perdendone) e per questo non viene dato tempo i mister, i quali si rifugiano appunto nelle loro poche certezze, cercando di infilare a forza i giocatori dentro un dato sistema, come cubi dentro prismi nei giochi degli anni Ottanta. Gli avvoltoi che gironzano attorno alle panchine hanno però capito di stare alla larga dall’Olimpico giallorosso e dallo stadio Dall’Ara: così differenti ma in fondo non dissimili, Gian Piero Gasperini e Vincenzo Italiano sono “hated because of great qualities” (Blonde Redhead al loro meglio), cioè detestati nonostante le rispettive capacità. Adesso sarà forse il caso di cominciare a considerare seriamente la Lupa capolista, dopo uno stock di partite in emergenza d’organico e destinata a ulteriori contraccolpi dal fresco stop di Artem Dovbyk: ma forse solo un’eventuale rinuncia temporanea all’indispensabile Manu Koné - data l’esiguità di alternative all’altezza - potrebbe rallentare il processo. È vero che a un dato momento della stagione le squadre di “Gasperson” frenano, anche atleticamente: ma ora segnare a Mile Svilar è sempre difficile, perciò basta poco per ottenere il risultato pieno: i 36 gol del Milan scudettato di Fabio Capello, stagione 1993-94, sono tuttavia troppo lontani per costituire un paradigma ripetibile. Sotto le Due Torri, invece, si muove la città che respira un’altra sera dei miracoli, dopo la prima vittoria in Champions League contro il celebre Borussia Dortmund e la Coppa Italia conquistata a maggio: nello scontro fra le due squadre che possono fregiarsi di simboli tricolori, la resa del Napoli va oltre l’esito del match. Le dichiarazioni di Antonio Conte infatti esorbitano dal normalissimo concetto di domenica storta, e fanno anzi chiedere come mai per la società di Aurelio de Laurentiis sia così difficile costruire un ciclo, dopo il flop successivo al terzo titolo conquistato da Luciano Spalletti. Una sorta di tela di Penelope (chissà se volontaria), soggetta al più metodico e scientifico “fare e disfare”, proprio quando gli sforzi di mercato non suggeriscono alibi. Dall’altro lato del terreno, intanto, i rossoblu si godono l’ennesima brezza d’altura, rivendicando come potrebbe essere anche più elevata senza il discusso rigore di Firenze: in “The end”, i Beatles parlavano del saldo pari tra dare e avere, chiedere al Genoa che subì la medesima pariglia a Bologna. Dove il calcio è bello anche per storie come quella di Massimo Pessina, diciassettenne terzo portiere conteso tra le big, che inaugura la carriera professionista con un clean sheet contro i campioni d’Italia e senza sporcare troppo i guanti. Sicuramente meno rispetto a ciò che accadde a Gianluigi Buffon quando, coetaneo, fermò il Milan a Parma da migliore in campo. Il calcio è fatto di atleti: parlare di Lautaro Martínez, da anni cifra del campionato italiano, equivale a ricordare l’incombere di una tassa ineluttabile: già sai che succederà, è solo questione di tempo, il resto è solo l’attesa scandita dall’orologio dei Pink Floyd. Atleti che sono uomini e quindi debolezze: l’ostracismo “para contrattuale” ad Aaron Martín, otto assist l’anno scorso, è valso un tot di punti in meno in classifica per il Genoa, ora rimesso in carreggiata anche dai suoi cross. Ma quanta salita, amareggiata, sapendo di poter dare: “La mia vita è un po' più facile / ma è finta e non è bello / voglio la verità che ricordavo”.
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