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L'abbaglio Kevin Strootman. Il centrocampista ha dato l'addio al calcio
18-10-2024, 15:54
Ci mise poco quel marcantonio dai modi gentili, con quel viso lungo e per bene, a farsi voler bene dai tifosi della Roma. Qualche decina di minuti appena. Il tempo di capire che l'uomo che avevano visto fuori dal campo non c'entrava nulla con quello con addosso maglietta, pantaloncini e calzettoni giallorossi. Eppure il nome e il cognome era lo stesso: Kevin Strootman. Nel rettagolo di gioco i suoi lineamenti si trasformavano, diventavano severi e cattivi e le sue movenze timide diventavano una sorta di uragano capace di travolgere tutto e tutti. E tutto ciò è quello che ogni persona sugli spalti apprezza di più, quello viene definito ovunque in un solo modo: onorare la maglia. Perché dribbling e tiri sono belle cose, tacchi rabone doppipassi fanno rima con applausi, ma vuoi mettere uno che corre, mena, le prende, recupera, avanza ed esce dal campo stravolto? Sono queste cose qui che suggeriscono ai tifosi che quello è un giocatore sul quale si può contare. E se tutto questo lo fa un giocatore con due piedi che sembrano da trequartista tanto meglio. In poco tempo Kevin Strootman divenne per i tifosi della Roma uno che poteva quasi stare alla pari di Daniele De Rossi e Francesco Totti, uno insomma a cui volere un gran bene, nonostante quel numero 6 sulla maglietta che in tanti avrebbero voluto essere per sempre di Aldair. Vederlo in campo al fianco di DDR e dietro al Pupone, per quanto già alle prese con la fase calante della carriera, era un piacere. In poco tempo furono cori e dichiarazioni d'amore, pure un gruppo Facebook che ne celebrava la grinta, Gioventù strootmaniana, che poi venne sospeso e cancellato perché, dicevano, faceva propaganda nazista. Non era così, anche se Strootman vestito da SS lo poteva far sembrare. La squadra guidata dalla panchina da Rudi Garcia sembrava poter fare bene almeno quanto quella dell'èra Spalletti. Tutto bellissimo, forse troppo. Durò sei mesi, fino al 9 marzo 2014, fino alla partita contro il Napoli. Dopo una decina di minuti del primo tempo Kevin Strootman si sbilancia in un contrasto, appoggia male la gamba sinistra, cade: lesione al legamento crociato anteriore con possibile interessamento al menisco. Ritornerà in campo solo a novembre, la stagione successiva. Con la stessa grinta e la stessa foga di prima, forse un po' appesantito nella corsa, ma inezie. Sembrava essere ancora quel giocatore incredibile per grinta e talento visto sino a marzo anche se giocava meno, perché dopo certi infortuni ci vuole tempo. Il futuro però era dalla sua, pensarono. Poi arrivò il 25 gennaio 2015, la partita contro la Fiorentina. Strootman sentì un dolore cane allo stesso ginocchio dopo una botta subìta in un contrasto di gioco, uscì, andò dal medico. Lì arrivarono le parole che non avrebbe mai voluto sentire, che nessuno avrebbe mai voluto sentire: serve operare di nuovo. Un anno fuori, il rientro nel febbraio del 2016, ma non era più lui. Giocò i seguenti due anni con la maglia giallorossa, si fece apprezzare ancora, perché lottava come sempre, anche se a ritmo inferiore. Ma quello che i tifosi romanisti e gli appassionati di calcio tutti avevano visto in quei primi sei mesi italiani non si vide più. C'era poca gente all'epoca in Serie A che faceva quello che faceva Kevin Strootman, pochissima, quasi nessuno, con la sua grinta e incapacità di mollare. Su un muro di Testaccio fu scritto "Ah Kevin, me fai arrapare". Ci vollero anni prima che fosse cancellato. Dovette andare a Marsiglia, all'Olympique, da centrocampista comune, che faceva fatica a rincorrere gli avversari per un'ora di gioco. Fu un abbaglio Kevin Strootman, un abbaglio intensissimo e lucentissimo durato poco, il tempo di un sogno e di un risveglio sudato e malinconico. Un sogno interrotto a Roma, finito oggi con poche parole, otto, su Instagram: "Careers come to an end. Thank you football!". La parola fine alla sua carriera da calciatore.
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