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Marco Cavozza: “Aquile e falchi insegnano a rialzare gli occhi al cielo”
Oggi 14-12-25, 05:56
Pure il giorno del suo compleanno, mercoledì 10 dicembre, Marco Cavozza se n’è andato a far volare i rapaci sulle colline del Parmense. Alla falconeria ha dedicato la maggior parte dei settantotto anni appena compiuti ottemperando al precetto fissato da Federico II nel “De arte venandi cum avibus”: perseverare nella pratica fino alla vecchiaia, perché tutto dipende dalla passione (“quod totum procedit ex amore”) che si dimostrerà. Nato ai piedi del castello militare di Bardi, Cavozza è rimasto fedele ai propri luoghi d’origine e vive con la sua “flotta” di pennuti a Traversetolo, una settantina di chilometri più in là. Come e perché scoccò questa passione? Sin da ragazzo, quando alzavo lo sguardo restavo affascinato dal volo dei falchi. Acquistai il primo che facevo il camionista, ma era un animale “pasticciato”, ossia addestrato male, poi finalmente mi procurai un esemplare giovane, lo istruii con cura e partecipai con successo a raduni e campionati internazionali. Sarebbe rimasto un hobby ma inaspettatamente diventò un lavoro, perché avevo cominciato a tempo perso a impiegare il falco per allontanare storni e piccioni, finché si sparse la voce e iniziarono a cercarmi i dirigenti degli stabilimenti industriali esasperati dall’infestazione di volatili nocivi che li sommergevano di guano. Poi chiesero il mio intervento anche nei centri storici urbani. Oggi conto una cinquantina di rapaci e cinque persone che collaborano con me. In cosa consiste il ‘bird control’? È un sistema naturale, che non inquina, non avvelena e permette di allontanare gli uccelli infestanti spesso senza nemmeno ucciderli. La presenza di un falco è di per sé sufficiente a scacciare gli storni, mentre per i piccioni è più difficile: sono affezionati al loro territorio e lo abbandonano soltanto quando constatano che il rapace li attacca veramente. Il sistema funziona anche con i gabbiani? Mi è capitato di allontanarli con le poiane americane, che sono robuste e aggrediscono senza paura. Non è solo questione di dimensioni, perché anche tra i rapaci conta il coraggio individuale: una volta, un falco di appena seicento grammi ha preso un gabbiano reale e lo ha tirato giù. Utilizza i rapaci per la caccia? No, i miei volano e si cercano le prede. Solo di tanto in tanto concedo qualche rilascio come premio, ma un falco ben addestrato viene a terra anche se gli mostro il “logoro”, ossia l’uccello finto, o il cibo che estraggo dalla borsa. Può scrutare nitidamente tutti i miei movimenti anche da trecento metri d’altezza. Fino a quanto può salire un falco? Anche a un migliaio di metri, dove ovviamente è possibile seguirlo solo con il satellitare. Può ridiscendere fino a 390 chilometri all’ora se caccia una preda veloce come una pernice, altrimenti se la prende più comoda, ma per modo di dire: torna giù a 150 all’ora. Qual è il rapporto tra falconiere e falco? Se entri nel suo mondo ti accorgi che è una creatura intelligentissima, che può diventare un amico e collaborare con te. È lui che decide di tornare, nessun filo lo lega quando è su. Con il falco devi parlarci perché ti riconosce dalla voce e ha un’ottima memoria, che contrariamente a quella umana si rafforza con l’età. Si ricorda di ogni pianta su cui ha volato un anno prima. Qual è la specie che predilige? Il girpellegrino, che è un incrocio tra il girifalco e il falco pellegrino. Il primo è velocissimo a salire, l’altro a scendere e le due caratteristiche combinate rappresentano la perfezione. La sua squadra di rapaci contempla pure aquile, gufi e un enorme grifone dell’Himalaya. È un’aquila delle steppe il rapace che è con me da più tempo, quasi vent’anni. Poi ho un’aquila americana dodicenne che per intelligenza nulla ha da invidiare a un cane ed è una sorta di innamorata. Se il falco diventa un amico, l’aquila è una compagna. Invece Acheron, così si chiama il grifone dell’Himalaya, è un gigante di 14 chili per tre metri di apertura alare. Lo tengo per pura compagnia anche se è addestrabile abbastanza bene, ma una volta a causa di una filagna ingarbugliata sono cascato assieme a lui da una voliera alta cinque metri: Acheron si è rotto una zampa, io dodici costole. Il gufo reale, battezzato Merlino, è stato più impegnativo da istruire perché è un po’ testone come tutti i rapaci notturni. Perché apprendere l’arte della falconeria? È un modo per avvicinarsi alla natura, un pretesto per ristabilire il contatto perduto con gli elementi. Se ti piace andare a ballare o correre in macchina non conviene proprio cominciare, anche perché la cura quotidiana dei rapaci è piuttosto gravosa. C’è un gran lavoro dietro la bellezza del volo. Le chiedono di imparare? C’è tanta gente interessata alle nostre esibizioni pubbliche. Riguardo ai corsi, le aspiranti falconiere prevalgono sugli uomini, non so perché. Piuttosto so una cosa: chi coltiva quest’arte recupera la facoltà di alzare gli occhi per vedere cosa accade in cielo, anziché tenerli puntati sempre su uno schermo o verso terra.
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