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Sport
Ogni vittoria del Bodø/Glimt è un riscatto culturale e sociale
Ieri 17-09-25, 16:42
Bodø è una città estrema, sospesa sopra il circolo polare artico, dove il sole in estate non tramonta mai e in inverno il buio sembra non finire. Cinquantamila abitanti circondati da fiordi spettacolari e venti gelidi, una capitale europea della cultura 2024 che fino a metà Novecento era solo un borgo di pescatori. Da qui, da questo lembo di mondo apparentemente inadatto alla vita e allo sport, arriva una delle favole calcistiche più sorprendenti d’Europa: il Bodø/Glimt. Il club giallonero, fondato nel 1916, ha vissuto decenni da comprimario, simbolo del Nord rurale e periferico rispetto alla Norvegia moderna di Oslo. La sua prima coppa nazionale nel 1975 fu letta come una rivincita sociale: il Nord che finalmente si metteva “sulla mappa”. Oggi, cinquant’anni dopo, quel sentimento è diventato epopea sportiva. Dal rischio retrocessione nel 2018 a quattro titoli in cinque anni fino al 2024, passando per una semifinale di Europa League contro il Tottenham, mai raggiunta da un club norvegese. E quest’anno, superando nello spareggio gli austriaci dello Sturm Graz, è arrivata la consacrazione definitiva: la prima storica qualificazione al girone unico di Champions League. Ma il Bodø/Glimt non è solo risultati. È identità collettiva. Nella città non esistono altre squadre, altri colori: qui tutto è giallonero. Un cittadino su dieci possiede un abbonamento, oltre 6.500 persone hanno seguito la squadra a Londra per sfidare il Tottenham. Le case che si affacciano sull’Aspmyra Stadion – l’impianto da 8mila posti che presto diventeranno 10mila – sono balconate da cui le famiglie assistono alle partite come a un rito domestico. L’impianto, con il suo corridoio d’ingresso minuscolo e le curve scoperte, è diventato un fortino inospitale per chiunque, dalle big portoghesi ai club di Premier League: un luogo dove il vento, la neve e il tifo si fondono in un unico, inconfondibile, fattore campo. Ogni vittoria è vissuta come un riscatto: non solo sportivo, ma culturale e sociale. Qui il calcio non è intrattenimento, è un linguaggio comune che tiene insieme generazioni. Nei giorni di partita, la città si trasforma: bandiere sui balconi, bar pieni, cori che si allungano fino al porto. L’ascesa è stata costruita con una filosofia precisa, illustrata dal CEO Frode Thomassen: “Non ragioniamo per obiettivi, ma per performance. Mi fido delle persone, so che ognuno darà il massimo per il Bodø”. Una scelta che nel 2020, in piena pandemia, ha portato il club ad andare controcorrente: investire in acquisti invece che rifugiarsi nei prestiti. Da lì è nata una crescita impetuosa, trainata da figure simboliche come Patrick Berg, figlio d’arte e cervello della squadra, e Jens-Petter Hauge, ex Milan. Oggi il Bodø/Glimt è molto più di una società di calcio: è un pezzo di comunità, un ponte tra passato e futuro, una sfida permanente alle logiche del centro e della periferia. Un club che ha saputo trasformare il freddo polare in energia, e l’isolamento geografico in identità collettiva. Qualunque sarà il verdetto delle prossime stagioni, la città ha già vinto: perché in quel campo di erba sintetica, al confine del mondo, il calcio è diventato cultura, appartenenza e orgoglio.
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