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Sebastiano Esposito e i suoi fratelli. Rivincite, storie di provincia e altre quisquiglie da Serie A
09-12-2024, 16:16
Non fosse stato per l’Atalanta vincente contro il Milan e in testa alla Serie A; non fosse stato per la Lazio che ha battuto il Napoli allo stadio Maradona; la quindicesima giornata di Serie A sarebbe stata la giornata dell’Empoli di Roberto D'Aversa. Certo l’Hellas Verona sarà pure messa male di testa e di fisico, troppo brutta per essere vera (e in Serie A), ma in fin dei conti i toscani è da tempo che giocano bene, che creano parecchio concretizzando meno di quello che meriterebbero. E sono (per ora) noni con 19 punti in saccoccia, davanti a un bel po’ di compagini pure troppo applaudite in questi primi (quasi) cinque mesi di campionato. È squadra gregaria l’Empoli. E per davvero. Sa bene Roberto D’Aversa cos’è il gregariato calcistico. Da giocatore, pur avendo piedi assai buoni, ha passato anni e anni a correre dietro un po’ a tutti, a pressare, recuperare palloni. Lo ha trasmesso ai suoi uomini a tal punto che ci sono poche squadre in Serie A dove i giocatori si aiutano vicendevolmente come l’Empoli e dove di partita in partita trovano “capitani” diversi da lanciare in volata. Contro l’Hellas Verona è toccato a Sebastiano Esposito che un po’ è seconda punta, un po’ trequartista, un po’ esterno, di certo giocatore errante per il campo ma capace di essere spalla d’appoggio per chiunque e a tutto campo. Pure in area di rigore: due gol per lui, prima doppietta in Serie A in carriera. Ocio però che è mica solo uno l'Esposito che segna: a festeggiare sono stati tre su tre. E questa volta nella stessa giornata. Perché Sebastiano Esposito ha due fratelli, uno più grande, Salvatore, e uno più piccolo, Francesco Pio. Il più grande è l’unico che non è uomo da gol, ma di lotta, grinta e ragionamento: centrocampista. Ha segnato pure lui, e pure lui una doppietta. Uno in più di Francesco Pio, sempre con la maglia dello Spezia, sempre nel 5-0 contro il Cittadella. Festone di famiglia. Questa è Ocio però, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sul campionato di calcio italiano, un piccolo breviario per evitare di prendere troppo sul serio la giornata di Serie A appena giocata Festeggia pure Claudio Ranieri, alla prima gioia dopo il ritorno alla guida della Roma. Festeggia per la vittoria, per i quattro gol segnati, soprattutto per aver fatto capire ai giocatori che nel calcio serve essere precisi e concentrati, e che in campo non ci si può permettere di fare gli sboroni se non si è fenomeni (e a volte nemmeno quando si è fenomeni). Cosa che sa benissimo l’Atalanta di Gian Piero Gasperini. Il primo posto in classifica è meritatissimo, diretta conseguenza di una squadra che indipendentemente dagli uomini scelti dall’allenatore riesce a essere fautrice del proprio destino. Ocio però che adesso viene il difficile. Perché un conto è inseguire, un conto è essere inseguiti. E proprio quando si è davanti a tutti “che può subentrare quella subdola e idiota idea che suona come un ‘ora vi faccio vedere quanto sono bravo’. E quando è così va sempre a finire a schifio”, raccontò Paul Van Himst, l’allenatore che conquistò la Coppa Uefa nel 1983 alla guida dell’Anderlecht, applicando al calcio alcuni degli insegnamenti che il ciclismo gli aveva insegnato (oltre a essere grande amico di Eddy Merckx, provò in gioventù a fare il ciclista). In ogni caso l’Atalanta la volata se l’è tirata, proverà ad arrivare in fondo. Ed è arrivata in fondo anche Venezia-Como nonostante un ventaccio cane, i residui della Bora di Triesta, e una pioggerella che a volte scendeva in orizzontale. Partita al limite della giocabilità, ma portata a termine tra i musi lunghi di tutti. Ocio però che almeno un lato positivo c'è stato: le gocce che hanno reso difficile vedere la partita in televisione ci hanno ricordato che allo stadio certe cose non succedono e che le partite sarebbe meglio guardarle dagli spalti. E tante pernacchie al calcio in streaming.
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