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Spagna-Inghilterra, ovvero il bene contro il male (calcistico)
11-07-2024, 08:51
Il pastone, nel linguaggio giornalistico, è – dice la Treccani – un “servizio che riporta i fatti politici del giorno insieme con dichiarazioni e informazioni”. Per ogni giorno dell’Europeo di Germania, dall’esordio fino alla finale, qui ci saranno i fatti del giorno. Quelli seri e quelli no. Quelli del campo, quelli degli spalti, quello che c’è intorno. Questo, insomma, è il Pastone Tedesco. Il punto Ha vinto l’Inghilterra, proprio mentre tutti eravamo pronti ai supplementari. Ha vinto l’Inghilterra e l’Olanda si è solo illusa, quando è passata in vantaggio, quando sembrava davvero di potercela fare. Tre anni esatti dopo la sconfitta contro l’Italia, gli inglesi dunque si sono svegliati di nuovo in finale. Ma noi siamo a casa da un bel po’, adesso tocca alla Spagna. Il bene contro il male. O forse no Spagna-Inghilterra può essere anche vista come il bene contro il male. No, non per simpatie (cioè, provando a non tenere conto delle antipatie), ma perché una ha espresso un calcio convincente e le ha vinte tutte senza passare dai rigori (unica concessione, i supplementari), l’altra non ha mai convinto, è sembrata sempre sul punto di uscire. Così diverse, ma anche così simili: non per modulo, qualità collettiva, per curriculum, ma per la quantità di talento individuale a disposizione, per la profondità della rosa. Sono arrivate in fondo le due squadre che avevano più campioni in rosa e, nell’Europeo che ha messo in mostra solo la grande stanchezza, chi ha la fortuna di avere i giocatori che risolvono le partite da soli, anche da fermi, va avanti. Infatti sono entrambe in finale. Tre giorni per prepararla, si gioca domenica. La grande notte di Southgate Sei un allenatore contestato sin dal giorno delle convocazioni. Hai lasciato a casa Grealish e non te l’hanno perdonato, pensano che tu stia sbagliando tutto e sono lì, ad aspettarti al varco. Cambi modulo, uomini, cerchi una soluzione, ma non la trovi. Chiedono, anche, di sostituirti a Europeo in corso, o per lo meno che questo Europeo finisca con la promessa che alla prima partita della Nazionale dopo la Germania tu non sia più in panchina. Lo prometti, praticamente. Vai avanti a spinta: agli ottavi rimonti allo scadere, eri sotto contro la Slovacchia, vinci nei supplementari; ai quarti pareggi a dieci minuti dalla fine, stavi perdendo contro la Svizzera, passi il turno ai rigori. Però comincia a insinuarsi un sospetto: che questa squadra che non muore mai non sia solo una serie di colpi di fortuna, ma ci sia dell’altro. Però, tanto, sei un allenatore sotto esame e, vedrai, stavolta esci, in finale non arrivi e altro che “it’s coming home”, qui vogliono che sia tu a tornare a casa. Giochi la semifinale e rimonti di nuovo: sì, forse questa squadra non muore mai, ma perché hai Bellingham, hai Kane, hai Saka, non perché ci sei tu. Sei pari, manca poco: ora qualsiasi errore ti condanna, qualsiasi scelta può essere decisiva. Ci sono i supplementari in vista e cosa fai? Togli Kane, togli il simbolo, fai una di quelle mosse che sembrano l’all in a poker. Tanto cosa devono dirti di peggio, se perdi? Mandi in campo Watkins, che non è proprio l’ultimo arrivato, ma hai tolto Kane e come ti è venuto in mente. Togli pure Foden, mentti Palmer. Solo che poi segna proprio Watkins, su passaggio di Palmer, di nuovo allo scadere e tu puoi dire di aver indovinato tutto e che sì, la tua squadra non muore mai. Ieri è stato il giorno di Gareth Southgate, è innegabile. Ed è in finale. L’Olanda, però, ci mancherà Era bello, ieri, vedere il Muro Giallo dello stadio di Dortmund diventare muro arancione, compatto, coloratissimo, rumoroso, anche più largo della parte già gigante in cui alloggiano solitamente i tifosi più accesi del Borussia. Era bello vedere ancora le strade invase da olandesi e un colore solo, come un mega barattolo di vernice rovesciato volutamente, sapientemente, perché dall’alto si vedesse solo l’arancione. Era bello vedere quell’onda andare prima a destra, poi a sinistra, tutti a tempo, sulle note della stessa canzone. E mancherà vedere circolare anche un autobus a due piani arancione, nelle città in cui giocava l’Olanda. Lo hanno comprato alcuni amici nel 2004, per l’Europeo in Portogallo, volevano andare tutti insieme così alle partite. Poi la Federazione lo vide e si fece venire l’idea: il bus avrebbe guidato il corteo dei tifosi olandesi verso lo stadio, sempre. E così è stato, anche in Qatar, anche ieri. Ecco, mancherà il colore di una tifoseria che (a parte gli incidenti di ieri, ma c’entrano pure gli inglesi) si è divisa con il solito Tartan Army il titolo di più bella di Germania, ma la Scozia è stata eliminata presto quindi hanno vinto loro. Hanno vinto gli olandesi e non l’Olanda, che pure era una squadra che visibilmente si era sviluppata dentro il torneo, che in un mondo giusto sarebbe arrivata fino alla finale perché il calcio è anche lavoro, crescita. Solo che i risultati non tengono conto dei sentimenti. E viceversa. Sì, parliamo ancora del gol di Yamal Dobbiamo parlare ancora di Yamal. Sì, dai: in un Europeo così, con così poca bellezza ciò che è meraviglioso va tenuto in vetrina a lungo. Per dire, guardate, vale pena fermarsi a guardare, entrate pure, il calcio è ancora bello, oltre che utile. Il gol di Lamine è una sorta di loop di cui non dovremmo più poter fare a meno. Sei triste? Guarda quel gol. Problemi al lavoro? Vedi bene che potenza ha il tiro, com’è dolce la parabola. Guai vari? Torna indietro: segui la danza con il pallone, segui il tiro quasi senza rincorsa, senza spazio, senza che nessuno possa prevederlo mai. “Non può bere, non può fumare. Non può guidare, non può votare. Può tirare un pallone da calcio nell'angolo alto”, ha scritto il Guardian. Aggiungendo: “Ha stabilito un record che difficilmente verrà mai battuto e giocherà la finale a Berlino il giorno dopo il suo diciassettesimo compleanno. Se non calcerà mai più un altro pallone, avrà già fatto ciò che la maggior parte dei giocatori non farà mai”. Ha scelto di volare altissimo The Athletic: “Si è aperto un varco nell’universo all’Allianz Arena. Uno spazio che non era evidente agli altri ventuno giocatori in campo, in particolare al portiere francese Mike Maignan , o ai 75.000 tifosi sugli spalti, è apparso all';improvviso”, e poi, “È comune sentire dire che la perfezione non esiste. Che è irraggiungibile. Ma il tiro di Yamal ha sfidato questa nozione”. Fa paragoni che non sembrano nemmeno esagerati la Bbc: “Ogni tanto, in un campionato europeo, viene segnato un gol che supera la prova del tempo. Viene ricordato, rivisto e discusso per decenni. La volée angolata di Marco van Basten a Euro 1988 è una di queste. La preparazione e il gol di Paul Gascoigne a Euro 1996 sono un'altra, così come il pallonetto di Karel Poborsky nello stesso torneo. A questa lista si può aggiungere anche il gol storico di Lamine Yamal”. Abbiamo già parlato di Yamal? Parliamone ancora. Sentiamo ancora la voce degli altri, dell’Europa (ma forse il mondo) in ginocchio ad adorare la stella che ci accompagnerà nel futuro. Sembrano, ad esempio, accettare la facilità del gesto a El Mundo, forse perché se ne aspettano mille altri nei prossimi vent’anni, sempre da Yamal: “È bastato che un ragazzino che aveva appena superato il suo Eso (la scuola dell’obbligo di secondo grando in Spagna, ndr) prendesse la palla, alzasse la testa e mandasse in orbita un tiro meraviglioso. Lamine Yamal è un bambino, un maledetto bambino che gioca come un grande, che alza la testa, che passa, che crossa e che, sì, anche dribbla, ma che, soprattutto, gioca a calcio come gli angeli felici”. È nato un nuovo semidio, secondo il Times: “I tornei possono consacrare la grandezza o rivelarla, e se la nascita di una nuova icona avviene a portata d'orecchio di un giocatore già grande, il simbolismo è ancora più potente. Sei anni fa a Kazan, un adolescente Kylian Mbappé si è annunciato nell'orbita di Lionel Messi; in una notte afosa e sudata a Monaco, Mbappé si è trovato eclissato da un moccioso. Lamine Yamal, 16 anni, un bambino su un palcoscenico maschile. Ha segnato un gol di cui le persone che erano lì parleranno ancora con un po’ di timore reverenziale tra decenni, e ha offerto una performance di tale genialità luminosa da suggerire che potremmo aver visto il prossimo, in quella stirpe di semidei”. Ma forse hanno ragione alla rivista Panenka: “Come un fulmine che cade dal cielo e lascia l'intero edificio senza luce. Non è che Lamine Yamal lo abbia colpito da casa sua, è che lo ha fatto praticamente da un altro pianeta. Non era vicino, non aveva spazio, non aveva visione. Per fortuna non ha avuto vergogna neanche lui, perché se ce l'ha non ci prova nemmeno. (…) Tutti si chiedono come fa Lamine a fare queste cose a 16 anni, ma forse l’unico modo per farle, appunto, è avere 16 anni, e dove gli altri vedono stadi da 80mila spettatori, telecamere, responsabilità e pressioni, tu continui a vedere una palla, un gol e risate, che è la stessa cosa che hai visto nel cortile della scuola e nel parco del quartiere”.
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