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Economia e Finanza
Volkswagen vuole chiudere tre stabilimenti in Germania e licenziare migliaia di impiegati
28-10-2024, 13:23
L'automotive tedesco apre la settimana nell'inquietudine. Stando a quanto scrive il quotidiano economico Handelsblatt la direzione della Volkswagen guidata dal ceo Oliver Blume avrebbe intenzione di chiudere almeno tre stabilimenti tedeschi e di tagliare decine di migliaia di posti di lavoro. Le due misure compongono un sforzo di ristrutturazione del marchio, che includerebbe anche una riduzione salariale del 10 per cento, l'esternalizzazione di alcuni settori amministrativi e il congelamento degli stipendi per gli anni 2025 e 2026. Si aggiungono poi le intenzioni di ridurre anche i bonus riservati alle fasce salariali più alte e quelli legati all'anzianità dei dipendenti, il tutto con l'obiettivo di risparmiare circa quattro miliardi di euro nel minore tempo possibile. “Tutti gli stabilimenti VW tedeschi sono interessati da questi piani. Nessuno è al sicuro”, riporta il quotidiano tedesco, che cita testualmente l'annuncio della rappresentante sindacale dei lavoratori a capo del comitato aziendale Volkswagen, Daniela Cavallo, ai dipendenti dello stabilimento di Wolfsburg, in cui lavorano circa la metà degli oltre 120 mila impiegati del marchio nei dieci stabilimenti in Germania. “Questa è una profonda pugnalata al cuore", ha detto Thorsten Groger, responsabile distrettuale dell'Ig Metall che rappresenta oltre 2 milioni di lavoratori metalmeccanici in Germania. “Ci aspettiamo che Volkswagen e il suo consiglio di amministrazione delineino concetti validi per il futuro al tavolo delle trattative, invece di fantasie di tagli, dove la parte datoriale ha finora presentato poco più che frasi vuote”, ha aggiunto Groger. “Non facciamo speculazioni sui colloqui riservati con il sindacato Ig Metall e il consiglio di fabbrica", ha dichiarato invece un portavoce del colosso automobilistico, i cui vertici si sono rifiutati di commentare la notizia. Ma i rumors su possibili chiusure in Germania erano già emersi a settembre, quando dal quartier generale di Wolfsburg avevano fatto sapere che la chiusura di stabilimenti "non può essere esclusa". Nell'ultimo trimestre le vendite globali del gruppo sono diminuite del 7,1 per cento, arrivando fino al 9,8 per cento in meno per quanto riguarda i soli veicoli elettrici. Il vento di crisi che sta soffiando sul mercato dell'automotive del vecchio continente ha costretto l'amministratore delegato Oliver Blume a tagliare per due volte consecutive le prospettive di profitto (la prima a luglio e poi a settembre), analogamente ad altri marchi europei come Marcedes-Benz, Stellantis e Bmw. Mercoledì il sindacato ritornerà al tavolo delle trattative con Volkswagen per la definizione di un nuovo contratto collettivo, e se il marchio “confermerà il suo percorso distopico” continua Groeger, “il consiglio di amministrazione dovrà aspettarsi le dovute conseguenze da parte nostra”. Nello stesso giorno l'azienda presenterà la sua trimestrale, da cui gli analisti non si aspettano buone notizie. Da Berlino, il governo tedesco commenta con prudenza il rischio di chiusure degli stabilimenti, limitandosi a invitare il gruppo a preservare i posti di lavoro. “Le eventuali decisioni sbagliate prese in passato dal management non devono essere prese a spese dei dipendenti”, ha detto il cancelliere Olaf Scholz, alla guida di un paese che rischia di sprofondare in una seria recessione dopo che il pil è rimasto in terreno negativo per due anni di fila. La scorsa settimana è stata annunciata la sospensione di un ambizioso progetto industriale nello stato tedesco del Saarland per la produzione di chip in carburo di silicio, da utilizzare come componenti dei veicoli elettrici. Un progetto da oltre 3 miliardi di euro nato dalla joint venture tra il fornitore automobilistico tedesco Zf e l'americana Wolfspeed, specializzata nella produzione di semiconduttori a banda larga, che tuttavia ha deciso di sospendere il piano per via di una domanda di semiconduttori più debole del previsto e alcuni dubbi sulla fattibilità del suo ingresso nel mercato europeo.
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