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Analisi Unimpresa: "Stretta del credito favorisce la criminalità". Roma e Milano "a rischio"
Oggi 01-11-25, 15:35
“Quando il credito bancario si restringe, la criminalità trova spazio. C'è una connessione sistematica tra razionamento del credito e rischio di infiltrazione mafiosa nelle imprese italiane. Su 2,3 milioni di società attive tra il 2001 e il 2020, mostra che 61.186 imprese - pari al 2,6% del totale - risultano infiltrate o comunque coinvolte in operazioni finanziarie sospette collegate a soggetti indagati o condannati per reati di tipo mafioso”. È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, basata su dati Uif e Banca d'Italia, secondo cui una declassificazione del rating a 'substandard' determina in media “una riduzione del credito bancario del 7% l'anno, che nel giro di cinque anni può superare il 30% cumulato. A quel punto “la probabilità che l'impresa venga infiltrata da capitali criminali cresce di 0,1 punti percentuali, ossia di circa il 5% rispetto al tasso medio di riferimento (2,2-2,3%)”. Il fenomeno, sostiene Unimpresa, “non riguarda solo le regioni del Meridione: in valori assoluti è più concentrato nelle province di Milano, Roma e Napoli, dove il tessuto produttivo è più denso e l'accesso al credito più competitivo. In termini settoriali, l'impatto maggiore si registra nell'immobiliare, dove il rischio di infiltrazione risulta superiore di circa 10 punti percentuali rispetto al livello medio del comparto. Particolarmente vulnerabili le imprese medio-grandi, con oltre 50 dipendenti, più appetibili per capacità patrimoniale e rete di contatti. Le imprese infiltrate tendono a sopravvivere più a lungo dopo la crisi di liquidità rispetto a quelle non infiltrate, ma senza segnali di ripresa economica. La sopravvivenza è più alta, ma a costo dei margini operativi. Una longevità anomala, sostenuta da capitali illeciti che mantengono in vita aziende 'zombie', prive di capacità competitiva ma utili al riciclaggio e al controllo del territorio. C'è una distribuzione geografica capillare: il rischio di infiltrazione aumenta nei contesti dove la dipendenza dal credito bancario è più elevata e dove le alternative finanziarie - fondi, capitale di rischio, garanzie pubbliche - risultano meno accessibili”. “Nei momenti di contrazione del credito, la carenza di liquidità apre 'spazi finanziari' che possono essere colmati da soggetti criminali, pronti a fornire risorse rapide in cambio di partecipazioni o influenza gestionale. Sul piano delle politiche economiche, occorre intervento multiplo: occorre un sistema di garanzie pubbliche più flessibile, che consenta alle imprese temporaneamente in difficoltà di superare le fasi cicliche senza dover ricorrere a canali alternativi. Serve una vigilanza integrata, capace di incrociare dati su rating creditizi, assetti proprietari, fusioni e segnalazioni antiriciclaggio, così da individuare precocemente anomalie nei flussi di finanziamento”, sottolinea il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. Ma, aggiunge Longobardi, “serve anche una cultura del rischio più intelligente, che distingua la fragilità dalla colpevolezza, la crisi congiunturale dall'insolvenza strutturale. Il credito non è solo un servizio finanziario, ma una forma di fiducia pubblica. Negarlo a chi è ancora in grado di ripartire può significare abbandonare interi pezzi di economia al mercato grigio. Servono canali di finanziamento alternativi per imprese temporaneamente in difficoltà, rafforzare la vigilanza basata su dati incrociati (rating, assetti proprietari, segnalazioni antiriciclaggio) e intervenire con misure mirate nei settori più esposti, a partire da costruzioni e real estate. La legalità economica passa anche per la qualità del credito: la criminalità organizzata non sostituisce lo Stato, ma le sue inefficienze; non crea ricchezza, ma occupa gli spazi lasciati vuoti dal mercato".
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