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Basta chiacchiere: spallata finale di Donald al regime
Oggi 18-06-25, 15:22
Mettiamola così: difficile immaginare che, giunti a questo punto, Donald Trump decida di stare fuori dalla partita. C'è un'esigenza tattica e una strategica in questo: debbono quindi essere considerate entrambe se vogliamo provare a intuire cosa accadrà. Quella tattica è tutta legata alla scena che abbiamo visto al tradizionale appuntamento del G7, esattamente il tipo di foro che il Presidente americano detesta. Indipendentemente dai buoni rapporti con Giorgia Meloni o da quelli pessimi con Emmanuel Macron, quella sede, tutta parole misurate, diplomazia e politica, esprime esattamente ciò che alla Casa Bianca è visto come fumo negli occhi, cioè la tendenza delle democrazie ad affrontare le crisi con fiumi di parole di buona volontà. Quella strategica è però assai più impegnativa, perché vede il Presidente americano davanti ad un bivio: attendere gli sviluppi dell'azione israeliana, fornendo supporto dietro le quinte e garantendo sostegno politico verso tutti gli attori interessati, oppure scendere in campo tentando di assestare il colpo finale, quello in grado di attivare il percorso di cambiamento radicale. Sappiamo alcune cose per certo, che servono a condurci per mano nell'analisi. La prima è che moltissimi osservatori ben informati di cose militari dicono che le forze Usa sono in movimento su vari fronti (due in particolare: numerosi velivoli da trasporto in viaggio da Ovest a Est, quindi dagli Stati Uniti verso il Mediterraneo e la portaerei Nimitz in avvicinamento all'aerea delle operazioni), la seconda è che la situazione nel regime di Teheran è di sbando totale, con la Guida Suprema totalmente isolata e non più in grado di gestire la situazione, mentre nelle ultime ore (manca conferma ufficiale) sarebbe stato assassinato anche l'ex Presidente Ahmadinejad, la terza è che il sito di arricchimento dell'uranio meglio protetto (quello di Fordow, scavato sotto una montagna alta poco meno di mille metri) può essere compromesso solo con l'utilizzo di ordigni speciali americani, che non sono in dotazione alle forze armate israeliane. Tutto questo per dire che molto lascia pensare ad una qualche forma di intervento diretto americano, purin omaggio alla realtà messa ben in evidenza dal Cancelliere tedesco Merz quando dice che Israele sta facendo il «lavoro sporco» per conto di mezzo mondo. È cioè verosimile che l'apparato militare americano si mobiliti per qualcosa di preciso e devastante al tempo stesso, qualcosa che dovrebbe contribuire a dare la spallata finale al sanguinario regime nato alla fine degli anni '70 (con vaste complicità occidentali, su cui un giorno bisognerà fare luce). Nel frattempo, a livello d'intelligence già si ragiona sulle figure dell'apparato militare risparmiate dai blitz israeliani, perché sono i più credibili candidati alla presa del potere. È frenetica la ricerca di una figura come quella dell'egiziano generale Al-Sisi, meno probabile il ritorno a Teheran del figlio dell'ultimo Scià.
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