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Caso Ramy, "omicidio stradale" anche per il carabiniere: è polemica
Ieri 03-07-25, 19:53
La morte di Ramy Elgaml, il 19enne che la notte tra il 23 e il 24 novembre perse la vita durante un inseguimento da parte dei carabinieri a Milano, ha visto un 'concorso di colpa' da parte dell'amico Fares Bouzidi, il 22enne alla guida dello scooter in sella al quale Ramy viaggiava come passeggero, e del carabiniere che guidava l'auto di servizio impegnata nell'inseguimento. È la tesi sostenuta dai pm di Milano, Giancarla Serafini e Marco Cirigliano, che hanno disposto la chiusura delle indagini a carico del militare e del giovane per la morte del 19enne, sbalzato dalla sella del T-Max dopo la collisione con la gazzella al termine di un inseguimento durato 8 minuti per le vie della città con punte fino a 120 km/h. Entrambi sono chiamati a rispondere dell'accusa di omicidio stradale. A Bouzidi viene contestato di aver cagionato la morte di Ramy "per colpa generica consistita in imprudenza e negligenza e colpa specifica consistita nell'inosservanza delle norme sulla disciplina della circolazione stradale", mentre al militare "per colpa consistita nella violazione delle regole di comune prudenza e diligenza comunque imposte dall'art. 177 comma 2 C.d.s. in occasione di servizi urgenti di istituto". Da un lato dunque l'amico della vittima, alla guida del T-Max senza patente, che ha determinato l'inseguimento per non essersi fermato all'alt, dando il via a una corsa durata circa 8 minuti "lungo numerose vie del centro urbano di Milano, con picchi di velocità superiori ai 120 km/h", immettendosi tra l'altro contromano in via Quaranta a 55 km/h e facendo una manovra "repentina e improvvisa" a destra, manovra con cui "provocava l'urto dell'area posteriore destra del suo motoveicolo con la fascia anteriore del paraurti" della gazzella dei carabinieri che arrivava da dietro con il "conseguente slittamento del motociclo" e lo sbalzo di Ramy contro il semaforo e il successivo investimento del giovane da parte dell'auto di servizio. Dall'altra però anche il militare alla guida dell'auto che, secondo i pm, manteneva una "distanza dal motoveicolo inseguito estremamente ridotta, sempre inferiore a 1,5 metri (a fronte di una velocità del veicoli pari a circa 55 km/h nel tratto finale) e, dunque, una distanza inidonea a prevenire collisioni con il mezzo in fuga". Distanza troppo ravvicinata a fronte proprio delle "condotte avventate del conducente" e dell'inseguimento che ha visto "elevate velocità", una lunga che avrebbe inficiato "le capacità di concentrazione nella guida, di reazione del conducente e le capacità frenanti del veicolo condotto), nonché la natura del veicolo inseguito", un motociclo, con due passeggeri a bordo, di cui il conducente era senza casco. La responsabilità dell'urto la procura l'attribuisce anche al militare, che - come l'amico del 19enne morto e già condannato per resistenza a pubblico ufficiale, ora rischia il rinvio a giudizio per omicidio stradale. "Io resto stupito perché la perizia aveva stabilito fin da subito che non avevano colpa i Carabinieri - ha detto il deputato e responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, intervenendo all'evento 'Piazza Italia' organizzato da Fratelli d'Italia Roma.
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