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Da Tirana all'Italia: la storia di Skerdi Faria, il medico dal cuore grande
Ieri 16-06-25, 20:51
Tirana. Poi l'italia, il Paese che è la sua seconda casa. La storia di Dr. Skerdi Faria - medico- é scandita da dedizione e attenzione verso i pazienti. Ma prima di diventare un medico, un imprenditore di rilievo e una figura pubblica rispettata, è stato semplicemente un ragazzo di Tirana che écresciuto in una famiglia umile di insegnanti, costretto fin da giovane ad affrontare grandi difficoltà. "Ricordo la mia Tirana, poi il trasferimento a pochi anni dopo con la famiglia a Ballsh, dove ho trascorso l'infanzia", racconta. Un grande rapporto con i suoi genitori, entrambi insegnanti, che gli trasmettono l'amore per la conoscenza e l'onestà. Faria dopo gli studi secondari, viene insignito della Medaglia d'Oro dal Ministero dell'Istruzione. "Ma quegli anni coincisero anche con uno dei periodi più difficili per molte famiglie albanesi", ricorda. "Quando iniziai la facoltà di Medicina Generale a Tirana, le condizioni erano estreme. Condividevo una stanza di soli 12 metri quadrati con altri quattro studenti, in un dormitorio privo di riscaldamento e, spesso, anche di cibo. Nonostante tutto, la voglia di studiare non veniva mai meno. La situazione peggiorò quando, con il cambio di regime, entrambi i miei genitori persero il lavoro", racconta con un filo di voce. Anche Dr. Skerdi fu costretto a lavorare per mantenere i propri studi. Iniziò vendendo vino rimasto nei magazzini statali, poi fiori di plastica, infine olio motore ai bordi delle strade. Quando anche quest'attività fallì, a causa dell'apertura di un distributore nelle vicinanze, usò ogni centesimo risparmiato per aprire un piccolo ristorante vicino alla facoltà, che chiamò “Bar Ristorante Doktori”. "Mi svegliavo alle cinque del mattino per cucinare, seguiva le lezioni e tornava poi a servire nel locale. La sera studiavo", aggiunge. Le difficoltà economiche lo costrinsero a interrompere per un anno gli studi e a tornare a Ballsh. Anche lì, però, non si arrese: trasformò la casa in un piccolo cinema per i bambini del quartiere, sfruttando l'unico televisore a colori della zona. In quell'anno imparò da solo l'italiano, senza alcun supporto esterno. Nel 1995 si laureò in Medicina Generale all'Università di Tirana con una media eccellente di 9,5, tra i migliori del suo anno. Subito dopo fu assunto dall'Istituto di Sanità Pubblica, dove durante il primo colloquio, il Prof. Edi Kakarriqi gli disse: “Qui si diventa scienziati, ma si resta poveri.” Un'amara verità che rifletteva la realtà di un sistema con risorse limitate, stipendi bassi e poche prospettive di crescita. Lavorare all'istituto gli permise però di collaborare con esperti dell'Istituto Superiore di Sanità di Roma. In quegli anni imparò a usare il computer – una competenza ancora rara in Albania negli anni ‘90 – e lavorava a ritmi serrati, anche nei fine settimana, per preparare presentazioni e ricerche. Proprio grazie a questo impegno, fu selezionato per presentare i suoi studi a una conferenza internazionale a Roma, nel febbraio 1997. Fu allora che prese la decisione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita: non tornò più in Albania. Nel marzo di quell'anno, infatti, il Paese precipitò nel caos a causa della guerra civile. In Italia non lo attendeva nessuno, non aveva famiglia, né appoggi economici o documenti regolari. Ma aveva un obiettivo chiaro: non arrendersi. Grazie ai contatti creati durante il suo lavoro, riuscì ad ottenere un tirocinio presso l'Istituto Superiore di Sanità a Roma. Per mantenersi, lavorava come cameriere e istruttore in palestra. Nel 2002 concluse la specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva all'Università “La Sapienza” di Roma. Nel 2004 ottenne il riconoscimento della laurea in Medicina presso lo stesso ateneo. Nel 2006 completò anche il Dottorato di Ricerca (PhD) sulle infezioni ospedaliere, sempre a “La Sapienza”. Spinto dalla passione per la medicina critica, intraprese una seconda specializzazione, questa volta in Anestesia e Rianimazione all'Università di “Tor Vergata”, uno dei centri di riferimento in Italia. La concluse nel 2009, dopo anni di grandi sacrifici, diviso tra turni nelle sale operatorie e lavori extra per sostenere la famiglia. In quegli anni riuscì a far trasferire in Italia la fidanzata e i suoi genitori, che sostenne in ogni modo. Vivevano tutti insieme in un piccolo appartamento di 60 metri quadrati, in una zona popolare di Roma, dove condividevano tutto: spese, pasti, affetto. In quella casa nacquero anche i suoi due figli, Elena e Giorgio, ai quali desiderava offrire una vita più dignitosa. Per un periodo, ospitò anche una coppia di cugini emigrati, arrivando a vivere in otto persone con un solo bagno. Dopo anni di lavoro come anestesista in ospedali italiani, e con qualche risparmio da parte, decise di tornare in Albania. Iniziò con una piccola struttura in collaborazione con ortopedici italiani. Nel 2011 fondò il KEIT Day Hospital. KEIT nacque in un appartamento di soli 80 metri quadrati, ma con una visione chiara e un impegno straordinario. Gli inizi furono difficili: la chirurgia estetica era ancora un tabù in Albania. Oggi, KEIT è un day hospital, una struttura moderna di oltre 2.500 metri quadrati, con più di 200 dipendenti e un team internazionale di chirurghi, tra cui 27 italiani. Con migliaia di pazienti provenienti da Albania, Italia e altri Paesi europei, KEIT è oggi sinonimo di eccellenza, professionalità e umanità nella chirurgia estetica.
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