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Elly senza pace, scoppia la grana Puglia: il caso Taranto e il cortocircuito green
Ieri 30-07-25, 15:30
Ci mancava solo Taranto a rovinare definitivamente l'estate del Nazareno. La crisi è scoppiata con le dimissioni del sindaco, ad appena 50 giorni dall'elezione: Pietro Bitetti, civico di area Pd, grande amico di Michele Emiliano. Le motivazioni riflettono il clima: «Inagibilità politica». Una divisione che lacera i dem: da una parte ci sono coloro che vogliono firmare con il governo l'accordo per vendere l'Ilva, dall'altra una parte del partito che si oppone. Una sorta di nuovo caso Milano, ma al centro del conflitto stavolta c'è il più grande impianto siderurgico d'Europa alimentato a carbone. I fatti: il passo indietro del sindaco (ha 20 giorni per ripensarci) arriva dopo un incontro teso con alcuni rappresentanti di comitati civici e ambientalisti sul piano per l'ex Ilva. All'uscita dal Palazzo comunale, Bitetti trova ad accoglierlo una protesta minacciosa nei suoi confronti: volano parole grosse, insulti, atteggiamenti ritenuti minacciosi. Si manifesta, dunque, quella "inagibilità politica" che lo porta alle dimissioni. Il Pd lo difende; interviene Antonio Misiani, responsabile economia della segreteria: «Le minacce e le intimidazioni degli estremisti sono del tutto inaccettabili». Il patatrac avviene alla vigilia di due scadenze importanti: il consiglio comunale che viene rinviato e l'incontro col governo in agenda domani, durante il quale dovrà essere discussae approvata la bozza dell'accordo di programma. È un passaggio decisivo per stabilire un sistema di produzione meno inquinante rispetto agli altoforni alimentati a carbone (il ministro Urso lo conferma). Gli ambientalisti, il M5S e parte del Pd ritengono troppo debole la proposta del governo e quindi attaccano il governatore Michele Emiliano e il sindaco Pietro Bitetti. Sul tema interviene anche Michele Riondino, regista tarantino e simpatizzante dei gruppi ecologisti: «Ci descrivono come balordi e violenti, dicono che abbiamo minacciato di morte il sindaco. La verità è che siamo armati solo di megafono». Se a Taranto divampa l'incendio politico, a Bari non è ancora in vista la soluzione che darebbe il via libera alla candidatura di Antonio Decaro. L'eurodeputato ha avvisato per tempo Roma: «Convincete Emiliano e Vendola a non entrare nel prossimo consiglio regionale. In caso contrario, io resto a Bruxelles». Antefatto: il Presidente in carica e il suo predecessore di Avs, Nichi Vendola, hanno comunicato da settimane la loro volontà di candidarsi alle regionali. Sono cominciati i lazzi: «faranno da balia a Decaro». Decaro, che ebbe già Emiliano come predecessore al Comune di Bari, non ne vuole sapere. Al Nazareno non sanno come gestire la situazione: «Avete mai provato a convincere Michele di non fare una cosa?», dice chi lo conosce bene. Non si vedono schiarite all'orizzonte, se non qualche rassicurazione sulla durata del supplizio. Il governatore ha già prenotato un seggio parlamentare; la sua permanenza in Consiglio Regionale potrebbe durare un anno. A Palazzo Madama c'è un sostenitore della pace: il capogruppo Francesco Boccia. Se Decaro dovesse decidere di restare al Parlamento Europeo, toccherebbe a lui.
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