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Feltri contro le balle climatiche: fa caldo come cent'anni fa ma allora eravamo meno stolti
Oggi 05-07-25, 10:35
Ogni mattina mi sveglio con la speranza che la giornata sia foriera di notizie interessanti. Invece mi tocca assistere alla litania dei giornali che recitano il requiem del clima e lanciano l'allarme caldo: anziani e bambini a rischio coccolone, città che si contendono i bollori, monumenti minacciati non più dai piccioni ma dalla canicola estiva. L'argomento è talmente stimolante che a Milano un'insegna da 150 tonnellate non ha fatto in tempo a collassare sul tetto di uno dei grattacieli più alti della metropoli che già la sinistra berciava contro il destino infausto e il clima canaglia. Non voglio smorzare i fragili entusiasmi di questa estate di guerra e tormenti o raggelare coloro che imputano al surriscaldamento climatico qualunque fatto increscioso di questi ultimi anni ma da che sono al mondo (ed è parecchio) non ho memoria di una sola stagione estiva che sia passata sulle nostre teste senza tormentarci con temperature bollenti. Addirittura se vado indietro nel tempo mi assale lo spettro di certe estati fantozziane che trascorrevo in redazione a fare la spola da un ventilatore all'altro mentre l'aria bollente mi infradiciava il colletto e rimbambiva la mente. Uscivo la sera ridotto a uno zerbino dinoccolato e facevo lo slalom tra signore in ciabatte infradito e omaccioni sudati che penzolavano nelle canotte slabbrate succhiando anguria e bestemmie. Le piazze sfrigolavano come cotolette sulla brace, i piedi si infilavano nelle fontane con candore fanciullesco. Anestetizzavo le placide membra col ghiaccio racimolato nella vaschetta del freezer oppure mi accoccolavo sul davanzale della finestra pregando che una brezza miracolosa mi portasse via lontano. Dormire era impossibile e alla mattina mi infilavo sull'auto senza condizionatore imboccando strade che sembravano deserti urbani. Era un'umanità tormentata dall'afa agostana ma aveva un che di poetico e ancestrale. Oserei dire che fosse posseduta da una lieta rassegnazione: soffrire un pochino prima di guadagnarsi le benedette vacanze. Non fraintendete: non ho simpatia alcuna per questa stagione che surriscalda il cemento e imperla le ascelle di umori pestilenziali, ma sono stanco di assistere inerme alla balla universale del clima che scivola verso l'inferno trascinandoci nel tormento tutti quanti. I bollettini delle temperature e gli effetti nefasti sulla popolazione sono i medesimi ogni anno. E anche a voler sfrucugliare nei meandri della meteorologia si trova la stessa eccezionalità e gli stessi picchi in decine di stagioni passate. Leggo che l'estate del 1918 per esempio fu particolarmente torrida. Era l'anno della spagnola, un'epidemia influenzale che falcidiò la popolazione mondiale causando disperazione e sgomento. Il virus non dipendeva dal caldo ma la sua diffusione fu aiutata dai movimenti delle truppe al fronte e dalle temperature esagerate di quei giorni. Nel '47 invece il caldo cominciò ad affliggere gli italiani attorno al mese di aprile, una cosa mai vista, addirittura si sfiorarono temperature record sul placido ramo di quel lago di Como e nella compassata Svizzera. Nel '64 fu l'Unità a suonare la sveglia. Il giornale di riferimento della sinistra titolò con veemenza in prima pagina: «Caldo africano, mal comune in mezza Europa» e aveva una certa ragione perché si erano toccati i 40 gradi sotto la Mole di Torino e poi nella rocambolesca Siviglia. In anni recenti abbiamo affrontato l'estate sciagurata del 2003. Era ministro della Salute Girolamo Sirchia e dopo averci tolto il diritto al fumo nei ristoranti invitarono gli italiani a riversarsi nelle chiese per cercare un pochino di sollievo. Fu avviata e forse mai conclusa un'inchiesta sul caldo e si fece il censimento di tutti gli over 65 presenti in italia casomai si imponesse la conta dei morti. Tante ne abbiamo vissute di stagioni balzane e sarebbe ora di affrontare il tema con più serenità e meno ardore ideologico. Attenti all'ambiente va bene ma cretini no. Temo invece che i condizionatori ci abbiano rammolliti la pelle e il cervello. Non è il massimo della vita lavorare con la canicola estiva ma neppure il male più grande. E talvolta basterebbe evitare comportamenti scorretti. Come abbrustolirsi in spiaggia all'ora di pranzo o correre sotto il sole cocente fino a che le forze non ti abbandonano. Non so se avete fatto caso alle scene che arrivano dalle spiagge nostrane ma vedo sfilze di scemi di ogni età rimbambirsi per la tintarella. Quanto ai provvedimenti presi fino ad ora vorrei dire una cosa. Ben vengano i consigli e le precauzioni e ho trovato lungimirante introdurre la siesta lavorativa per tutti i dipendenti che si trovano a lavorare sotto il sole cocente con le schiene raggrinzite e le facce paonazze, ma si presti attenzione anche agli ultimi della società. Parlo dei senzatetto e dei carcerati. Alemanno ha messo a frutto la sua permanenza a Rebibbia per inviarci ottimi resoconti dalla galera. E ha denunciato giustamente le condizioni estreme in cui vivono i galeotti come lui. L'inferno dantesco a confronto è poca cosa ed è messo all'incontrario: non sprofonda nei meandri della terra ma sale su nel cieli sfidando il paradiso, perché si va dal caldo moderato del primo piano alle temperature bollenti dell'ultimo. Anche dei derelitti per le strade non si dice mai abbastanza. Fuori dalla redazione di Libero ne abbiamo almeno una decina che stanno raccolti sotto un porticato dimenticato dal mondo e si spartiscono gli angoli di cemento bollente. Hanno un cartone bisunto per appoggiare le membra e qualche libro regalato da un benefattore per elevare l'intelletto. Non vedo acqua sulle loro coperte ma solo cartoni di un vinaccio comprato per pochi centesimi. Potrei dirvi ancora degli asili senza condizionatori e dei vecchi nelle case di riposo con un ventilatore acceso per miracolo. Piacerebbe che i piani ecumenici dei nostri governatori si occupassero un pochino di loro anziché perdersi in catastrofismi che rompono le balle e non risolvono nulla. Invece siamo qui anche quest'anno a sfinirci di prediche sul surriscaldamento climatico e i gretini di ogni risma... Fa caldo adesso come cent'anni fa. Solo che allora eravamo meno stolti e molto più concreti.
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