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Feltri: "Poveri medici stressati dalle pratiche amministrative"
Oggi 09-08-25, 08:58
Ho grande stima dei medici, ne ho incontrati di eccellenti nella mia vita. Professionisti appassionati che hanno speso lunghi anni su tomi e provette e sono approdati in corsia a costo di enormi sacrifici. Spesso sottopagati. Sicuramente sfruttati. Spendono le notti e le energie cercando di salvare la pelle ai pazienti e taluno finisce per buscarle da gentaglia ignorante convinta che il dottore sia come il santo guaritore del villaggio e debba miracolare tutti, anche i casi disperati, in cambio di voti e di un'offerta congrua alla beneamata parrocchia. Quello che non sapevo è che la categoria fosse oberata dall'attività amministrativa al punto da veder sacrificata la propria professione e buttare via il tempo, nel senso letterale del termine. L'effetto è quello che in gergo si chiama burnout medico da burocrazia, inglesismo che non amo particolarmente sfoggiare ma traduce bene l'esaurimento fisico e mentale causato da stress lavorativo. Affligge in particolar modo gli oncologi che curano il cancro. Entrano in ospedale all'alba e ne escono a sera inoltrata. Ma il 41% della loro giornata se ne va in attività amministrative. E solo il 59 per cento nella cura effettiva del paziente. Il dato impietoso è emerso da una indagine promossa dalla Lampada di Aladino Ets (eccellente associazione che assiste i malati oncologici e i loro famigliari nella fase della malattia e dopo) insieme al Collegio italiano dei primari oncologici ospedalieri (CIPOMO). È stata presentata qualche giorno fa a Roma, alla presenza di politici autorevoli e luminari dei migliori ospedali. E come tante notizie meritevoli di attenzione è finita nel dimenticatoio. Eppure è un dato agghiacciante che dovrebbe far riflettere quei soloni da salotto che discettano di sistema sanitario senza capirci un tubo di medicamenti e senza sapere niente della vita ospedaliera e dei problemi che si vivono in corsia. La situazione è a dir poco allarmante. Gli oncologi intervistati – molti dei quali operanti nei nosocomi efficientissimi del nord Italia hanno dichiarato di doversi occupare frequentemente di guasti al sistema informatico, compilazione e gestione dati, inventario, pianificazione degli appuntamenti. In pratica si chiede a un medico, che ha studiato mediamente dieci anni e che magari occupa una posizione dirigenziale, di essere tecnico informatico, segretaria d'ufficio, archivista (già che c'è una spolveratina alle scrivanie...), e a tempo perso di dare un occhio al cancro al testicolo che affligge il poveretto. Come se il cancro fosse un raffreddore che curi con un'aspirina, arrivederci e grazie. Non è solo questione di spremere come limoni professionisti meritevoli cui affidiamo le nostre vite pagandoli niente (siamo bravissimi in Italia nell'arte di onorare i nullafacenti e riconoscere due fichi secchi alle menti illuminate). Ma anche di ignorare completamente il tempo clinico e le ragioni del paziente. Il quale ovviamente viene trascurato, messo da parte, ignorato. Ridotto a un codicillo da smistare nei reparti, sezionare e archiviare. Nel paese che ogni anno conta all'incirca 400mila nuove diagnosi di tumore non è un dato accessorio ma un dramma vero. «Il medico si accolla attività che non sono quelle per cui ha studiato e gli manca il tempo di parlare coi pazienti», spiega Davide Petruzzelli, presidente della Lampada di Aladino che per prima tre anni fa promosse uno studio scientifico sul tempo clinico e quello amministrativo degli ematologi arrivando alle medesime conclusioni. «Di fronte a una malattia, e nello specifico a una diagnosi oncologica, esistono per fortuna più opzioni terapeutiche. Ma il medico deve avere il tempo di discutere insieme al paziente le varie terapie. Se lo si costringe a compilare 4 volte lo stesso foglio di carta, si tolgono soltanto tempo e qualità al malato. E si impone un costo altissimo al sistema sanitario perché si acquista tempo amministrativo da un professionista preposto a un lavoro clinico e scientifico, pagandolo tre volte tanto quello che si pagherebbe un impiegato. Si lamenta la carenza di medici negli ospedali. Ma se facessimo lavorare i dottori a tempo pieno, il problema sarebbe risolto». Non capirlo significa essere miopi. Oppure cretini. Si racconta di medici in certe zone di Italia che impiegano venti minuti per compilare un'impegnativa. Avvii il computer, si impalla, lo riaccendi, mandi in stampa la ricetta, la carta si inceppa... Intanto il paziente crepa nell'attesa che qualcuno alzi lo sguardo. Esagerazioni letterarie, si intende, ma rendono bene l'idea. Sono stato malato anch'io di cancro. Una bravissima oncologa mi ha fatto la diagnosi. Una eccellente chirurga mi ha operato. E quando ho temuto di collassare a causa degli effetti della radioterapia, è stato Andrea Gori, infettivologo e luminare di Milano, a salvarmi la pelle. Quei momenti li ricordo perfettamente. L'esame approfondito, la diagnosi, la salivazione che si azzera mentre il primario davanti a me enunciava con termini scientifici e crudo realismo come intendeva guarirmi. Affidarsi a qualcuno che ti dedica le sue energie è fondamentale. Sentirsi al centro dell'attenzione, e non una pratica da liquidare in fretta e malamente, decisivo per scampare il pericolo e trovare una via d'uscita. Io sono stato fortunato. La maggior parte dei pazienti rischia di finire stritolato da un sistema tiranno di burocrazia canaglia e vetusta. Scartoffie, pratiche amministrative, incombenze che la tecnologia non ha edulcorato e neppure reso più appetibili. Semmai ha complicato. Si stima che il problema riguardi tutta la categoria. Anche i medici di base, al servizio del territorio e di migliaia di pazienti di età e patologie diverse, perdono metà del tempo ad aggiornare cartelle e timbrare carte. Al punto che il tempo delle visite non esiste più. Due minuti di freddo colloquio con il malato, una breve diagnosi del malessere che lo affligge (senza neppure il garbo di provargli la pressione), seguita da ricettina medica. E se il male è un tantino complicato, si spedisce il poveretto da uno specialista per un esame più approfondito e per sgravarsi l'animo da ogni responsabilità. Vengono in mente certe scene kafkiane. Di reparti intasati da malati immaginari mentre i malati veri affollano le sale d'aspetto. E camici bianchi chini sui computer a districare file e pdf mentre dall'altra parte del mondo la ricerca sul cancro procede spedita e si aggiorna in tempi record. Dunque che fare. Innanzitutto occuparsi del problema. Non solo chi sta all'opposizione ma anche dalle parti della maggioranza di governo. Frega nulla del numero chiuso e del sistema di accesso all'università. Sfruttiamo al meglio la forza lavoro che abbiamo. I medici ci sono e sono i più bravi al mondo. Ma devono stare in trincea, possibilmente a sparare al nemico e non a spolverare brande o firmare lettere di congedo.
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Il Tempo
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