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Giallo Mandrione, Emanuela nascosta tra i rifiuti per una settimana. Cosa sappiamo
Oggi 22-07-25, 08:33
Un terreno lungo via del Mandrione, striscia marginale della città, nascosta tra i binari della ferrovia e muri scrostati. Il suo corpo giaceva tra sterpaglie, immondizia e materassi, invisibile agli sguardi, come se fosse stato inghiottito da quel paesaggio abbandonato. A vederlo per primo è stato un uomo che portava a spasso il cane, erano circa le 19.30. È finita così, in modo drammatico, la ricerca disperata di Emanuela Ruggeri, la 32enne di Colli Aniene scomparsa lo scorso 14 luglio. Sul posto sono intervenuti la polizia e la Scientifica. Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione: si è risaliti alla sua identità grazie ai documenti e a un tatuaggio riconoscibile. Ma dopo il dramma personale, c'è il luogo a colpire. Via del Mandrione è un confine invisibile, un pezzo di Roma al Tuscolano che non appare nelle cartoline e neanche nei progetti di riqualificazione. È una strada lunga e stretta che corre parallela ai binari, incastonata tra archeologia industriale, edifici dismessi e terreni incolti. È il tipo di luogo che si attraversa solo se si ha uno scopo preciso, non ci si passa per sbaglio, non ci si ferma per curiosità. Chi arriva lì lo fa perché lo conosce, o perché vuole scomparire momentaneamente dagli occhi della città. È una Roma invisibile, che assorbe le sue ombre e le restituisce in silenzio. È lì che Emanuela è stata trovata. Ma come ci è arrivata? È questo uno dei punti cruciali dell'inchiesta. Da casa sua al luogo del ritrovamento occorre percorrere 20-25 minuti in auto. Li abbiamo percorsi partendo da casa di Emanuela, invasa di cronisti. Ma i genitori della 32enne, come fanno sapere due amiche della madre appena uscite dall'appartamento, «sono chiusi in casa, non riescono nemmeno a parlare, sono distrutti dal dolore». Emanuela non guidava e non aveva mezzi propri tanto che, per la madre, lei lì non ci è arrivata da sola. Anche gli inquirenti, al momento, non escludono che sia stata accompagnata o persino abbandonata in quel punto remoto. Un tragitto che Emanuela non potrebbe aver percorso né a piedi né con i mezzi pubblici. Il punto in cui è stato ritrovato il corpo, infatti, dista circa 6,5 chilometri da casa sua, che equivarrebbero a una camminata di quasi due ore, con la complicanza di strade in salita e ad alto scorrimento. Affianco a lei non c'erano siringhe, né strumenti per il consumo di droga. In passato era stata seguita dal Serd, aveva avuto problemi di dipendenza da eroina, un percorso altalenante di ricadute e tentativi di recupero. Poco prima che si perdessero le sue tracce, Emanuela aveva detto ai genitori che sarebbe andata a cena con un'amica. Il giorno dopo aveva mandato un messaggio, diceva di essere stata al mare e che il cellulare stava per spegnersi. Poi il silenzio. La madre, Alessandra, ha lanciato appelli sui social, descrivendo con precisione tatuaggi, piercing, segni particolari. Il cellulare della 32enne non è ancora stato ritrovato. Le forze dell'ordine hanno acquisito le immagini delle telecamere di videosorveglianza della zona per capire se Emanuela sia stata vista entrare con qualcuno o se ci siano movimenti sospetti. Tuttavia, anche senza risposte definitive, c'è una verità che emerge con forza: Emanuela è morta in un angolo di Roma che tutti conoscono e nessuno vede. È lì che si muore senza fare rumore, dove un corpo senza vita resta addirittura una settimana all'ombra di una zona invisibile agli occhi della cittadinanza.
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