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I dati come oro: perché le imprese italiane puntano sulla “data economy”
Oggi 03-12-25, 14:44
Nel 2025 l'economia digitale italiana ha confermato la sua crescita anche in un contesto economico globale difficile. Le imprese di qualsiasi dimensione stanno accelerando gli investimenti nel digitale: non più solo infrastrutture o servizi online, ma una vera e propria trasformazione dei modelli di business attorno ai dati. In questo nuovo paradigma, le informazioni, comportamenti, preferenze, transazioni, tracce digitali, diventano un asset strategico, materia prima da elaborare, analizzare e trasformare in valore. Questo approccio “data-driven” non riguarda soltanto le grandi multinazionali: anche le piccole e medie imprese (PMI) stanno iniziando a riconoscere il valore della raccolta dati e della sua analisi, adottando strumenti di intelligenza artificiale, automazione, machine learning per comprendere i clienti, ottimizzare processi, migliorare servizi o anticipare tendenze. Il cambiamento non è superficiale: abbraccia ogni settore, dalla logistica al marketing, dalla finanza alla cultura. E soprattutto mette in discussione un vecchio modello economico basato su volume e materie prime: nel XXI secolo, l'oro non è più minerale, ma informazione. Opportunità concrete e sfide normative La nuova cornice regolamentare europea, con il recente Data Act, offre un'occasione storica per l'Italia. Da settembre 2025 entra in vigore una normativa che facilita la condivisione e l'utilizzo dei dati industriali, ridisegna le regole per la raccolta e l'accesso ai dati non personali, e promuove modelli di business più competitivi e trasparenti. Per le imprese italiane questo significa potenzialmente minori barriere all'ingresso, maggiore interoperabilità tra settori, e la possibilità di costruire servizi innovativi a partire da dati reali: analisi predittive, nuovi prodotti, personalizzazione su larga scala. Molti imprenditori — secondo un recente studio condotto da Hewlett Packard Enterprise (HPE) — vedono il Data Act come un'opportunità per “posizionare l'Italia al centro della data economy europea”. Ma la data economy porta con sé anche responsabilità e costi. La gestione dei dati richiede misure stringenti di sicurezza informatica, governance interna, conformità alle normative di privacy (come il GDPR) e un approccio etico all'utilizzo delle informazioni degli utenti. Bilanciare innovazione e tutela dei diritti non è semplice, specialmente per le realtà più piccole. Questa tensione tra potenziale e regolamentazione è la vera sfida: riuscire a far emergere un sistema che valorizzi i dati come risorsa economica senza trasformarli in pericolo per la privacy, in un contesto dove fiducia e trasparenza diventano fattori competitivi essenziali. Settori in prima linea e qualche sorpresa Alcuni settori emergono oggi come protagonisti della data economy italiana: marketing, e-commerce, logistica, servizi digitali, salute, entertainment. In questi ambiti, elaborare e analizzare dati significa personalizzare l'offerta, migliorare la customer experience, anticipare la domanda. Ma ci sono anche comparti meno “visibili” — settori di nicchia che sfruttano la data economy in modo intenso. Pensiamo al mondo del gioco e dell'intrattenimento digitale: piattaforme online, servizi di streaming interattivo, gaming su misura, tutto basato su algoritmi che analizzano comportamenti, preferenze e abitudini. Anche qui i dati diventano la materia prima di un sistema economico complesso e spesso molto redditizio. In questo contesto, le realtà regolamentate, comprese quelle che operano come casino online, mostrano come le potenzialità della data economy si estendano anche a segmenti tradizionalmente trascurati. Ed è proprio la presenza di questi esempi “marginali” a dimostrare che la data economy non è solo per le grandi tech, ma può (e deve) rappresentare un'opportunità trasversale: per imprese nuove, settori alternativi, e modelli di business ibridi. Se l'Italia saprà cogliere questa occasione Il vero test per l'Italia non è semplicemente introdurre leggi o investire in infrastrutture. È dare vita a una cultura del dato — fatta di competenze, trasparenza, responsabilità. Vuol dire formare figure in grado di gestire dati in modo etico, progettare servizi “data-centrici”, garantire cybersecurity e fiducia. Se questo accadrà, la data economy può diventare un pilastro della ripresa italiana: un motore di innovazione, occupazione e competitività globale. Potrà ridare fiato alle PMI, valorizzare settori ancora poco conosciuti, e trasformare l'informazione in una risorsa strategica per interi comparti produttivi. La posta in gioco è alta: non si tratta soltanto di cavalcare una moda, ma di costruire un'economia del futuro. Ed è nelle mani, anche delle nuove generazioni, la responsabilità di costruirla bene.
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