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I ProPal gettano la maschera: dal “no Netanyahu” al “No Meloni day”
Oggi 03-11-25, 07:49
Dalle aule universitarie alle piazze, la nuova rete antisionista prepara il «No Meloni Day». Le proteste pro-Pal non si fermano, anzi. Il prossimo appuntamento è fissato per il 14 novembre, giornata di «sciopero studentesco» ribattezzata, appunto, «No Meloni Day». Dai collettivi studenteschi ai sindacati di base, dai centri sociali alle sigle comuniste, si va delineando una saldatura sempre più esplicita tra le frange radicali della sinistra antagonista e il fronte antisionista, con parole d'ordine che non si limitano alla condanna di Israele ma evocano apertamente la sua cancellazione. Gli incontri di questi giorni, tra i quali quello di ieri nell'aula «Gaza» dell'università Roma Tre, servono a definire strategie comuni in vista non solo del 14 novembre, ma anche dello sciopero generale del 28 e della manifestazione nazionale del 29 contro la «manovra di guerra e rapina» del governo. Il linguaggio è militante: «Blocchiamo tutto», la parola d'ordine ripetuta come un mantra nei volantini e nei comunicati. Una formula che unisce diverse sigle. Tra queste Cambiare Rotta, Fronte della Gioventù Comunista, fino alle frange più estreme dell'area comunista rivoluzionaria e della galassia antagonista. Tutte convergono sullo stesso asse: l'opposizione al governo Meloni e la denuncia del «genocidio sionista a Gaza». Gli apparati di sicurezza guardano con attenzione alla nuova stagione di proteste di un fronte che, dopo il 7 ottobre 2023, ha trovato una bandiera unificante e una piattaforma ideologica. Una miscela di anti-israelismo, retorica anti-imperialista e propaganda rivoluzionaria che, mescolandosi al disagio sociale, potrebbe riaccendere tensioni sopite. Sotto la superficie delle aule occupate e dei cortei, infatti, si muove una rete organizzata che parla di diritti e solidarietà, ma agisce con la logica dell'antagonismo e della contrapposizione assoluta. E che prepara un autunno di piazze, scioperi e bandiere, contro Israele e contro il governo italiano. Dopo le giornate del 22 settembre e del 3 ottobre, nelle università romane e non solo, si moltiplicano assemblee e incontri. La saldatura tra movimenti studenteschi e l'Unione Sindacale di Base (USB), ad esempio, ha l'obiettivo di «costruire un blocco sociale unitario di studenti e lavoratori». «Le ultime settimane di scioperi e mobilitazioni - si legge nei post dei vari profili social - hanno dimostrato un fatto nuovo: studenti e lavoratori uniti possono davvero bloccare il paese. È ora di riprendere la pratica del 'Blocchiamo tutto', utilizzata efficacemente in difesa del popolo palestinese, contro il genocidio e a sostegno della Global Sumud Flotilla, per fermare la corsa al riarmo e costruire un nuovo futuro. Trasformiamo la rabbia che ha attraversato le piazze in organizzazione per costruire insieme l'opposizione alla complicità del governo e delle nostre istituzioni con la guerra e il genocidio in ogni università e posto di lavoro». Nei documenti diffusi online dal Nuovo Partito Comunista Italiano e rilanciati nelle assemblee di Potere al Popolo, si discute apertamente di bloccare il sistema e rendere ingovernabile il Paese. Il dibattito interno divide due linee: quella che punta alla costruzione di un fronte politico-elettorale per il 2027 e quella, più radicale, che invoca una strategia di rottura immediata, paragonata al modello del Comitato di Liberazione Nazionale. In entrambi i casi, il bersaglio resta lo stesso: il governo Meloni, definito «servo degli imperialisti Usa e complice dei sionisti d'Israele». Sul piano accademico, il tema del boicottaggio verso Israele continua. Alla Sapienza si moltiplicano le mozioni per interrompere gli accordi con le università israeliane e l'obiettivo é estendere il boicottaggio a tutto il sistema universitario. Lo slogan «Palestina libera dal fiume al mare» torna sui muri e nei corridoi degli atenei, accompagnato da manifesti che equiparano lo Stato ebraico a un regime di apartheid. L'obiettivo dichiarato non è più solo fermare la guerra a Gaza, ma «abbattere il sistema che la sostiene». E Israele, in questa narrazione, non è uno Stato da criticare, bensì un'entità da eliminare.
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