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Il regista Sheibani: "Ogni ripresa è un crimine", cosa succede in Iran
Oggi 26-06-25, 17:01
Hadi Sheibani, regista iraniano. Lei vive in Iran – com'è la situazione in questo momento ? La vita si fa ogni giorno più complicata. Ciò che è andato perso è la speranza per il nostro futuro e per il nostro Paese. Le persone sono confuse e non vedono prospettive positive né per sé stesse, né per l'Iran, né per questa guerra. Internet è stato interrotto da cinque giorni. I progetti cinematografici sono stati sospesi, e molte altre attività si sono fermate a causa dell'impatto della guerra. I voli sono stati cancellati e molti viaggiatori non hanno potuto né uscire né entrare in Iran. Pensa che oggi esistano condizioni realistiche perché il regime iraniano possa subire una trasformazione radicale o crollare? Non credo che questa guerra porterà alla libertà dell'Iran. Il cambiamento del regime è un tema estremamente complesso, e non tutte le guerre in Medio Oriente portano a un cambio di regime. Quando si è in guerra e sotto i bombardamenti, la priorità è la sicurezza della propria famiglia e del proprio Paese. In un contesto così caotico, non ci si può aspettare che la popolazione inizi un'altra forma di caos o guerra per cambiare il regime. Quando le strade di Teheran erano sotto i bombardamenti, alcuni gruppi di opposizione all'estero si aspettavano che uscissimo in piazza per liberare l'Iran. Non si può pretendere che qualcuno sotto le bombe esca a fare una rivoluzione. Ogni guerra dà legittimità politica ai governi. Molti iraniani non sono d'accordo con le politiche interne ed estere della Repubblica Islamica, ma una caratteristica chiave degli iraniani è che si uniscono contro gli attacchi esterni, indipendentemente dalle proprie opinioni politiche sul regime. Sappiamo che ogni attacco israeliano fornisce al regime un pretesto per colpire di nuovo, e questa catena di reazioni potrebbe causare migliaia di morti. La difesa dell'integrità territoriale dell'Iran è per noi fondamentale. La nostra terra è stata divisa molte volte nella storia, e questo rischio esiste ancora oggi, vista la posizione geopolitica delicata del nostro Paese. Durante la guerra del Golfo, Saddam Hussein cercò di conquistare parti del territorio iraniano. Questo pericolo esiste anche nell'attuale conflitto: Israele vuole ridisegnare il Medio Oriente e non c'è alcuna garanzia che un cambio di regime non porti a una guerra civile o alla frammentazione dell'Iran. Il cambio di regime resta un processo molto complesso. Inoltre, Donald Trump e i leader del G7 hanno dichiarato che il loro obiettivo non è un cambio di regime. Alla luce dell'attuale conflitto, quali pensa saranno le conseguenze per l'Iran, per il Medio Oriente e per il mondo? Non sono d'accordo con gli iraniani che sostengono il regime e vogliono proseguire la guerra o distruggere Israele. Allo stesso tempo, non condivido le scelte del governo israeliano, che alimenta il conflitto e ignora i cessate il fuoco e i diritti dei civili. I governi di Iran e Israele vogliono distruggersi a vicenda, ma non è ciò che vogliono i cittadini. Le persone comuni in Iran e Israele desiderano pace, sicurezza e una vita tranquilla — non un ciclo infinito di violenza. Il governo iraniano raramente impara dai propri errori e continua a ripeterli. Enormi risorse che potevano essere usate per rafforzare la difesa (non lasciare ad esempio il nostro spazio aereo così vulnerabile agli attacchi esterni) e migliorare la vita dei cittadini sono state impiegate in modi che hanno indebolito la sicurezza nazionale, con l'unico scopo di reprimere le libertà. Le conseguenze della guerra per l'Iran vanno oltre i danni materiali. L'economia, già debilitata da sanzioni e cattiva gestione, ha subito un ulteriore colpo con il blackout di internet e la chiusura di molte attività. Questo può portare a più povertà, disoccupazione e disordini sociali. A livello regionale, il proseguimento del conflitto potrebbe aumentare le tensioni tra i Paesi mediorientali e spostare gli equilibri di potere verso chi trae vantaggio dall'instabilità. A livello globale, questa guerra potrebbe far salire i prezzi dell'energia, interrompere le catene di approvvigionamento e aumentare le tensioni geopolitiche tra le grandi potenze. Alcuni Stati potrebbero cercare di ridurre l'influenza di Iran o Israele nella regione, alimentando indirettamente una crisi più ampia. Tuttavia, credo che la soluzione non stia nella continuazione del conflitto, ma nella diplomazia e nel dialogo internazionale. Una pressione globale per il cessate il fuoco e la mediazione può evitare ulteriori danni. Se questa guerra si protrarrà, non solo Iran e Medio Oriente, ma il mondo intero ne soffrirà economicamente, umanamente e politicamente. Secondo lei, la cultura e il cinema – in Iran e più in generale nel Medio Oriente –possono ancora influenzare la consapevolezza sociale o persino contribuire al cambiamento politico? In Iran, il cinema indipendente e gli artisti impegnati hanno da tempo un ruolo chiave nel mostrare le questioni sociali, dalla povertà e le disuguaglianze fino alle restrizioni politiche. Ma in questo momento, restrizioni molto severe impediscono che questo ruolo possa essere pienamente esercitato. Nelle ultime due settimane, come regista, ho cercato di realizzare un documentario sulla situazione attuale in Iran, ma qualsiasi ripresa, anche con un telefono cellulare, negli spazi pubblici è considerata un crimine e può portare all'arresto. Inoltre, il blackout di internet durato cinque giorni ha limitato fortemente il nostro contatto con il mondo esterno. Meno del cinque per cento delle persone riesce ad accedere a internet tramite VPN, e questo rende difficile far arrivare le nostre voci al resto del mondo. Queste restrizioni non solo bloccano il lavoro artistico, ma impediscono anche di documentare la realtà della guerra e il suo impatto sulla vita delle persone comuni.
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