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La democrazia delle urne è riservata a pochi motivati
Oggi 25-11-25, 07:50
Le regionali di novembre parlano chiaro: quando l'affluenza crolla, vincono i militanti e le macchine organizzative. Le tornate in Campania, Veneto e Puglia hanno confermato una regola che appare ormai valida in tutta Italia: se ai seggi va meno di un elettore su due, la coalizione uscente porta a casa percentuali bulgare. In Campania infatti Roberto Fico è stato eletto con il 58,3% circa dei voti validi quando l'affluenza è stata al 44,06%. Tradotto: ha votato meno di un campano su due, ma tra chi si è presentato Fico ne ha presi quasi tre su cinque. La sua coalizione ha funzionato in modo compatto; il centrodestra guidato da Edmondo Cirielli si è fermato al 36,7%. In Veneto, Alberto Stefani (centrodestra) ha toccato il 62,9% circa, con un'affluenza del 44,6%: anche qui, poco meno di un veneto su due ha votato e tra questi la continuità ha avuto la meglio. In Puglia, Antonio Decaro ha trionfato con il 65,5% circa, mentre l'affluenza si è fermata al 41,83%. Tre regioni, tre coalizioni uscenti confermate con margini ampi, tre affluenze sotto il 50%. Il quadro è limpido: chi dispone di una tifoseria fidelizzata e di una struttura organizzativa capace di mobilitare vince anche con gli spalti mezzi vuoti. È il voto «militante» a decidere: quello di chi ha un interesse diretto (dipendenti pubblici, beneficiari di contributi, attivisti ideologici) o quello orchestrato dai capibastone che controllano territori e catene «clientelari»: non necessariamente da intendersi come fenomeno perverso, ma certamente lontano dal voto d'opinione. Coloro che non hanno né l'uno né l'altro restano a casa, e il loro silenzio regala la vittoria a chi è già al potere. Per questo è fuorviante dare a queste regionali un valore nazionale. Basta infatti che all'affluenza ci siano venti punti in più – e nella politica nazionale si va regolarmente sopra il 60% – perché l'elettorato «debole», oggi assente, rientri e ribalti gli equilibri. Per inciso: nelle sei regioni che hanno votato nei mesi scorsi (Marche, Calabria, Toscana, Puglia, Veneto, Campania) l'affluenza media si è fermata al 44,7%, contro il 57,2% delle consultazioni precedenti, con un calo netto di oltre 12,5 punti. In dettaglio: nelle Marche – dove ha vinto ancora il centrodestra con Francesco Acquaroli – l'affluenza è stata del 50,01%. In Calabria si è fermata al 43,14%. In Toscana, ancora, poco sopra il 47,7%. Queste tre regioni mostrano una democrazia italiana sempre più riservata a pochi motivati: il resto osserva, giudica, ma non vota. E così, le coalizioni uscenti dormono sonni tranquilli: la crisi della legittimazione si conferma, semplicemente perché la legittimazione ridotta è ancora legittimazione. Ma oggi quel ritorno non c'è: gli spalti sono metà vuoti e la partita è già decisa. Può tutto questo darci indicazioni precise verso il voto delle politiche? Improbabile, perché se vota il 65% degli elettori la partita diventa tutta diversa. Prossima tappa? La nuova legge elettorale, perché l'attuale è già in soffitta.
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