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La mano dello spione dietro l'affaire Renzi. Un pm gli disse: "Sentiremo il babbo"
31-10-2024, 10:47
L'indagato contatta un pm, che gli dice «sarà sentito babbo Renzi». Nella trama delle spie spunta un'informativa dei carabinieri. Che sembra dar ragione, dopo 8 anni, all'ex premier Matteo Renzi. Lui lo aveva detto, ma nessuno ci aveva creduto. D'altronde il vittimismo va sempre di moda, tanto più se a sbandierarlo è un premier dimesso, proteso a cercare un alibi pur di non ammettere il fallimento di un progetto politico. Ma il tempo è galantuomo. E gli spioni ormai troppi. Così fuori controllo che, dossier dopo dossier, hanno lasciato talmente tante tessere da consentire la ricomposizione del puzzle. Prima Striano & Co, il team che all'Antimafia, oltre al governo Meloni e ai big del centrodestra, hanno dossierato a mani basse il leader di Italia Viva, l'unico di sinistra colpito a suon di Sos e articoli. Poi il bancario di Bari, Vincenzo Coviello, che senza quelle intrusioni illecite sull'immancabile Renzi non sarebbe stato credibile nemmeno per lo psicologo che gli ha certificato la diagnosi di curiosità morbosa. E ora gli hacker di Milano, che non solo avevano fatto la cartella al senatore di Rignano, con tutti i documenti riservati scaricati dalle banche dati nazionali, ma che sarebbero intervenuti perfino nelle vicende giudiziarie costruite ad arte per colpire il padre Tiziano, assolto nel caso Consip insieme all'ex ministro Luca Lotti. A differenza degli inquirenti che avrebbero montato il caso, trai quali l'ex maggiore dei carabinieri del Noe, Gian Paolo Scafarto, condannato a un anno e sei mesi. Una pronuncia arrivata proprio nei giorni in cui impazzava lo scandalo del dossieraggio dell'Antimafia e Renzi era tra i dossierati del finanziere Pasquale Striano, indagato ma non arrestato per accesso abusivo alle banche dati e rivelazione del segreto, in concorso con l'ex sostituto procuratore Antonio Laudati e con tre giornalisti di Domani. Gli stessi reati contestati, in associazione a delinquere, anche agli spioni di Milano, quattro dei quali finiti ai domiciliari. E la storia di Renzi e Consip spunta ora in un'intercettazione tra due degli hacker ai domiciliari, Nunzio Samuele Calamucci e Giulio Cornelli, informatici della Equalize, di proprietà del presidente della Fondazione Fiera, Enrico Pazzali, e del super poliziotto Carmine Gallo, considerati a capo di una "banda" che, per i pm, era un «pericolo per la democrazia». È il 19 gennaio 2023 quando i carabinieri di Varese intercettano una conversazione tra Calamucci e Cornelli. I due ridicolizzano Pazzali per aver interrogato la piattaforma "Beyond", sistema per l'intrusione nelle banche dati nazionali, su Matteo Renzi. «Tale evenienza è particolarmente interessante se si pensa che lo stesso Pazzali», scrive il Nucleo investigativo, «in data 02/12/2022 aveva contattato un pubblico ministero in servizio a Roma, che gli rivelava amichevolmente di essere impegnato nella preparazione di un'udienza che vedeva coinvolti Tiziano Renzi ed il maggiore dei carabinieri Giampaolo Scafarto nonché la testimonianza di Matteo Renzi». I militari fanno riferimento a un'intercettazione del 2022, ma non svelano il nome del magistrato impiegato a piazzale Clodio che in quel momento preparava l'udienza del processo Consip. Uno scandalo scoppiato nel 2016, quando Renzi era ancora premier, e che aveva portato sotto i riflettori il babbo Tiziano, indagato, e poi assolto, per traffico di influenze, in quell'inchiesta che raccontava di una commessa milionaria della centrale acquisti della pubblica amministrazione. A capo della squadra che indagava su Consip proprio Scafarto, accusato di aver svelato atti coperti da segreto al vicedirettore del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, nonché di aver falsificato un'informativa attribuendo una frase su Renzi a un'altra persona. Un comportamento che, secondo i magistrati, era mirato, attraverso la commissione di «orrori di sicuro rilievo penale», a tirare in ballo nell'inchiesta il padre di Renzi.
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