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La posta in gioco è la separazione delle carriere
Oggi 19-07-25, 08:54
Ma quale Open Arms. La posta in gioco è ben altra e si chiama «separazione delle carriere», percorso di riscrittura ordinamentale e costituzionale che il Parlamento sta esaminando ma che, soprattutto, è punta di diamante delle riforme volute dalla maggioranza che sostiene il governo Meloni. Solo in questi termini si inquadra correttamente il delicatissimo momento nei rapporti tra politica e magistratura (per la verità solo con una parte di essa) che si arricchisce di un nuovo capitolo in queste ore, cioè la decisione della Procura di Palermo di ricorrere contro l'assoluzione di Matteo Salvini per i ben noti fatti dell'estate 2019. Vediamo di essere chiari una volta per tutte: gli uffici giudiziari sono presidio insostituibile di legalità e debbono lavorare in questo senso senza guardare in faccia a nessuno, men che meno ai potenti di turno (ministri compresi). Essi però debbono fare ogni sforzo per riconoscere l'esistenza di uno spazio (non piccolo) nel quale la dimensione politica traduce le proprie istanze in decisioni ad effetto immediato: l'equilibrio dei poteri è tale solo se tutti ne esercitano una quota e nel rispetto (nonché controllo) reciproco si estrinseca la meraviglia della democrazia. Nell'agosto del 2019 il Ministro Salvini (con pieno consenso dell'intero governo dell'epoca) applica una svolta radicale nelle politiche di accoglienza e/o contrasto verso l'immigrazione illegale, rompendo certamente una tradizione "morbida" del sistema italiano. Lo fa però mettendo gli operatori coinvolti nelle condizioni di avere attenzione agli aspetti umanitari e sanitari, pur chiedendo ad essi di ribaltare il consueto atteggiamento che, in sostanza, finiva con l'accompagnare sul suolo nazionale i migranti recuperati dalle navi delle più diverse organizzazioni internazionali. Quella decisione del ministro non solo viene apertamente osteggiata dagli uffici giudiziari (la nave viene posta sotto sequestro), ma finisce per generare accuse formali al ministro medesimo, che si traducono in un processo lungo e tortuoso. Processo che però a dicembre 2024 finisce con la piena assoluzione di Salvini: risultato che dovrebbe essere da tutti considerato (al netto degli spazi, pur esistenti come ben sappiamo, per fare ricorso) pietra tombale sulla vicenda: legittimo pensare che Salvini ha esagerato e superato la "linea rossa", legittimo portarlo davanti al tribunale, ragionevole ritenere che l'assoluzione debba essere considerata definitiva chiusura della vicenda (sono passati intanto sei anni). Siccome però è in corso quell'altra battaglia, quella sulle carriere da separare, ecco che nessuna partita si può chiudere, nessun reciproco riconoscimento di autonomia può essere messo in campo. Dubito che tutto ciò vada nell'interesse di un'Italia migliore.
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