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La versione di Ragnedda sull'omicidio di Cinzia Pinna: "Ecco perché ho sparato". Ritrovamenti inequivocabili
Oggi 25-09-25, 20:39
"Ho sparato per difendermi, perché ho avuto paura". Con queste parole, Emanuele Ragnedda, 41 anni, imprenditore vinicolo di Arzachena, avrebbe motivato agli inquirenti l'omicidio di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo scomparsa l'11 settembre e ritrovata senza vita due settimane più tardi nella sua proprietà di Conca Entosa, dove i carabinieri hanno trovato tracce di polvere bianca, probabilmente cocaina, e bottiglie di vino semivuote sparse ovunque, oltre a segni di sangue dentro e fuori l'abitazione. Elementi che complicano ulteriormente il quadro e che dovranno essere analizzati nei prossimi giorni per chiarire la dinamica e il contesto della tragedia. Durante l'interrogatorio in caserma, durato circa sei ore, Ragnedda ha sostenuto di aver avuto un acceso litigio con la donna e di aver reagito per paura, quando lei si sarebbe avvicinata con un oggetto in mano. A quel punto avrebbe estratto la pistola e sparato, anche se non ricorda con esattezza quante volte. Secondo quanto ricostruito finora, Cinzia quella sera a Palau è salita in auto con Ragnedda alla fine del turno nel bar dove lavorava. Da lì il viaggio verso lo stazzo di famiglia, immerso nelle campagne galluresi, dove si sarebbe consumata la lite e poi l'omicidio. Successivamente il corpo è stato nascosto nella tenuta, buttato via senza neanche essere coperto, dove è rimasto fino al ritrovamento, quattordici giorni più tardi, grazie alle indicazioni fornite dallo stesso indagato. Oltre alla polvere bianca sul tavolo e alle bottiglie di vino trovati dai Ris, risultano lavati divani e cuscini, quasi a voler cancellare le tracce di sangue. È proprio su questi dettagli che si concentrano ora le indagini, per stabilire se si sia trattato di un gesto improvviso o di un delitto maturato in circostanze più complesse. Intanto resta il dolore immenso della famiglia Pinna, piegata dalla disperazione. A Castelsardo e in Gallura erano molto conosciuti per la gestione di ristoranti e strutture ricettive, e la comunità si è stretta attorno a loro. Il riconoscimento ufficiale del corpo non è ancora avvenuto. Sul fronte giudiziario, Ragnedda si trova rinchiuso nel carcere di Nuchis con l'accusa di omicidio volontario aggravato dall'uso di un'arma da fuoco e di occultamento di cadavere, mentre è stato scagionato il 26enne che lui stesso aveva indicato come complice. Assistito dall'avvocato Luca Montella, l'imprenditore dovrà comparire davanti al gip per l'udienza di convalida del fermo, inizialmente prevista per domani ma al momento non confermata. Le indagini, coordinate dal procuratore capo Gregorio Capasso e dalla sostituta Noemi Mancini, puntano ora a ricostruire ogni dettaglio della notte dell'omicidio e a fare luce sul movente. Una delle ipotesi più accreditate è che la lite sia scoppiata dopo un rifiuto della ragazza a un approccio di natura sessuale da parte dell'uomo, ma al momento non ci sono conferme definitive.
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