s
L'analisi del sondaggista: “Nessuno è riuscito a sfondare convincendo gli elettori mobili”
Oggi 25-11-25, 11:09
Conferme più che sorprese nelle Regionali di Campania, Puglia e Veneto. Per dirla con il sondaggista Antonio Noto, «nessuno è riuscito a sfondare convincendo gli elettori mobili». E smonta la tentazione di leggere questi risultati come un termometro politico nazionale. I risultati delle Regionali confermano gli equilibri della vigilia. «Esattamente. Al di là dei singoli numeri, la traiettoria complessiva è inequivocabile: ogni coalizione ha sostanzialmente consolidato il proprio presidio territoriale. Dove governava il centrosinistra, continua a governare; dove il centrodestra era maggioranza, ha confermato la sua forza. Più che un cambiamento, siamo di fronte a una certificazione degli assetti esistenti». Possiamo leggere queste consultazioni in chiave nazionale? «Sarebbe un errore analitico, e direi anche un rischio interpretativo. Le Amministrative, e ancor più le Regionali, rispondono a dinamiche radicalmente diverse rispetto alle Politiche. Qui pesano le liste civiche, il voto di preferenza, la dimensione locale, il rapporto diretto con amministratori e territori. Alle Politiche, invece, si vota un brand, un leader, una proposta programmatica nazionale. Questi risultati non possono essere usati quindi come una proiezione delle prossime Politiche». Il campo largo del centrosinistra è stato una scelta politica o una necessità tattica? «Una necessità. Direi che il campo largo ha avuto il valore di un test preliminare. Se l'esperimento fosse fallito in Campania e in Puglia, sarebbe stata messa in discussione la sua riproposizione in vista delle prossime Politiche». Ancora una volta l'astensionismo è stato protagonista. «Sì, e lo è in modo sempre più marcato. Alle Regionali gli italiani non percepiscono un impatto diretto sulle proprie condizioni di vita, a differenza del voto nazionale, dove si decide la guida del Paese, la gestione economica, la sanità, la sicurezza. Qui manca la spinta motivazionale. Non è disaffezione verso la politica in sé, ma una limitata percezione della rilevanza del livello regionale». E il ruolo degli indecisi? Prima del voto se ne parla come dell'ago della bilancia. Hanno inciso? «In queste elezioni, francamente, no. Non c'è stato un bacino reale di indecisi da contendere. Ogni candidato ha parlato al proprio perimetro elettorale, consolidando la base tradizionale. Nessuno è riuscito a sfondare convincendo gli elettori mobili, quelli che possono cambiare gli equilibri. Molti potenziali indecisi non sono diventati votanti: hanno semplicemente scelto di restare a casa. È un comportamento diverso». È vero che l'astensione penalizza più il centrodestra? «Non esiste una correlazione automatica. Il fattore decisivo è la forza delle liste. In Veneto, dove il centrodestra dispone di strutture più radicate e liste costruite nel tempo, l'astensionismo ha persino favorito la coalizione. In Campania e Puglia, al contrario, il centrodestra presentava candidati meno radicati e liste deboli, e lì ha pagato pegno. La variabile non è l'area politica, ma il livello di organizzazione territoriale». Qual è il vero dato politico che emerge da questa tornata? «Una certa mancanza di vitalità. Le elezioni sembravano avere un esito già scritto, e questo si è riflesso sulla partecipazione. Ma c'è un punto decisivo: i nuovi presidenti, nonostante le celebrazioni, sanno che da domani dovranno ricostruire un rapporto con l'intera comunità regionale, non soltanto con il proprio elettorato. La sfida vera non è vincere, ma governare per tutti. E questo vale in un contesto in cui la fiducia nelle istituzioni è fragile e l'astensionismo continua a crescere».
CONTINUA A LEGGERE
1
0
0
