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Lazio, l'abbonamento è un atto d'amore
Oggi 25-06-25, 08:12
Atto di fede. Amore vero, abbonarsi a prescindere da tutto, dagli acquisti che non arrivano, da un mercato che si annuncia in tono minore, dalla paura di non riuscire più a sognare grandi traguardi. Qualche dubbio poi, come detto, prevale la passione, spesso ereditata, di padre in figlio. E il laziale capisce che non può fare a meno di partecipare a quel rito collettivo in cui sei protagonista attivo: la strada per l'Olimpico, la birra a Ponte Milvio, il parcheggio introvabile, lo stadio, il seggiolino che ti aspetta, il vicino di posto brontolone che se la prende con i cross di Lazzari e, finalmente, l'inno. E ancora le bandiere, i cori, la sofferenza, la gioia, l'abbraccio con lo sconosciuto tre file più sotto dopo un gol, la vittoria e la delusione per il risultato sfuggito all'ultimo respiro come nella tragica notte contro i «dilettanti» del Bodo Glimt. Tutto in quei novanta minuti che sono sempre molti di più nel calcio moderno anche per colpa del Var, a volte benedetto, a volte maledetto. Già, maledetti laziali, lo striscione che campeggia in Curva Nord a ricordare forse un destino scritto sulla panchina di Piazza della Libertà 125 anni fa. Mai una scelta è stata più giusta per identificare lo stato d'animo dei laziali, sospesi tra speranze impossibili, voli pindarici e brusche cadute. Rispondere presente è un dovere per chi ama il più antico club della Capitale a prescindere dal giudizio sull'attuale gestione. Perché l'emozione che si vive allo stadio non vale un centesimo di una serata passata sul divano.
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