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Le micro reti del terrore in Europa: un esercito di 11 mila lupi solitari
Oggi 16-12-25, 07:50
La radicalizzazione è digitale. L'attore è individuale o micro-cellulare. L'innesco è emotivo (vendetta, polarizzazione, imitazione). L'obiettivo è morbido e replicabile. Quanto accaduto a Bondi Beach, in Australia, non è un'anomalia ma un modello operativo ipoteticamente valido anche in l'Italia. La minaccia terroristica jihadista, infatti, non è scomparsa, ma si è adattata diventando un rischio difficile da intercettare: micro-reti, proselitismo online, processi di radicalizzazione individuale, «lupi solitari», quindi non formalmente affiliati ai gruppi terroristici. Indagini recenti dell'antiterrorismo su giovani residenti in Italia accusati di sostegno e propaganda per Al Qaeda e Isis, hanno mostrato che non serve una struttura organizzata per generare pericolo. È la frammentazione a rendere il rischio più opaco. Nel nostro Paese, lo spazio dei soft target è per definizione vastissimo: festività religiose, celebrazioni identitarie, iniziative culturali, manifestazioni politiche, concerti, piazze turistiche. Il bersaglio non è solo simbolico, è anche replicabile. Il quadro si complica nell'incrocio che oggi alza la temperatura della sicurezza interna. La polarizzazione internazionale legata al conflitto Gaza-Israele si riflette nelle piazze europee, si amplifica sui social e interseca la conflittualità di ordine pubblico registrando un volume molto elevato di iniziative «a sostegno della pace». Il nodo non è il dissenso. È la dinamica. La piazza ampia è un ecosistema in cui una minoranza organizzata può agganciarsi e trasformare un corteo in un moltiplicatore di rischio: scontri, danneggiamenti, attacchi mirati, ricerca dell'obiettivo identitario. La presenza costante di frange antagoniste e anarchiche che tentano di guidare o incendiare la dinamica, talvolta contro la stessa base dei manifestanti, è il simbolo della saldatura tra terrorismo di matrice jihadista e eversione interna. Questo incrocio mostra non una fusione ideologica stabile, ma una contiguità funzionale. Le frange eversive cercano piazze calde e cornici moralmente spendibili; i radicalismi identitari cercano visibilità e bersagli; l'ecosistema social abbassa la soglia tra slogan e gesto e la violenza diventa prestazione, imitazione, escalation. In questo contesto l'Italia presenta una specificità storica. Dagli anni Settanta, con il cosiddetto lodo Moro, si sarebbe consolidata una prassi di compromesso che prevederebbe un'immunità di fatto per attività meramente logistiche di entità terroristiche filo-palestinesi in cambio di una non belligeranza sul territorio nazionale. Quel modello, però, nell'era del «lupo solitario» e dell'indottrinamento online, potrebbe non essere più efficace. E nessun sistema di intelligence può azzerare il rischio, soprattutto quando l'attacco matura ai margini e colpisce la vita pubblica. Dentro questo quadro si inserisce un tema più delicato come quello legato ai palestinesi in Italia e le evacuazioni umanitarie. Il nostro Paese ne ha effettuate numerose. Il dato di sicurezza, ovviamente, non è automatico. Non esiste un nesso diretto tra evacuato e minaccia. Molti sono minori, feriti, malati e famiglie prese in carico da canali istituzionali. Esiste però un rischio secondario su eventuali identità incomplete in contesti di guerra, vulnerabilità post-traumatica, esposizione a processi di reclutamento online e tentativi di strumentalizzazione da parte di reti terze. La variabile critica, quindi, non è solo l'ingresso, ma il dopo. Ma a muovere le fila della «replicabilità dell'odio», ci sono anche attori esteri come l'Iran che nel nostro Paese non si limita a esercitare «soft power» culturale, ma impiega un'articolata strategia di infiltrazione che combina diplomazia, propaganda, proselitismo religioso, investimenti accademici e collaborazione con unità clandestine e gruppi criminali per il transito di commerci illeciti. Teheran, che ha finanziato e supportato Hamas per l'attacco contro Israele del 7 ottobre 2023, è uno degli attori che muovono le pedine sullo scacchiere della sicurezza interna europea con l'esistenza di veri e propri reparti dell'IRGC, con migliaia di membri, all'interno delle ambasciate iraniane in Europa e l'investimento di milione di euro in programmi accademici per penetrare il mondo universitario. Un'intervista dell'ex capo del controspionaggio italiano, Marco Mancini, rilasciata ad Agenzia Nova a novembre 2025, rivela che l'IRGC dispone di due unità operative attive anche in Europa: la divisione «11mila», formata da circa 11.000 membri, dei quali circa 500 agenti attivi e gli altri impiegati come informatori, logistici o infiltrati in istituzioni e università, e la unità «840», composta da circa 700 uomini. Una presenza che potrebbe agire sull'antisemitismo già dilagante.
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