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Meloni: “Vado alle urne e non ritiro la scheda”. Schlein s'indigna ma i riformisti Pd fanno lo stesso
03-06-2025, 07:38
Uno sdoppiamento di personalità in piena regola. O meglio una rappresentazione da teatro dell'assurdo, sospesa tra grottesco e tragicomico. Con uno stuolo di attori consumati che buttano alle ortiche il canovaccio del passato e si mettono a denunciare lo scandalo: “è una vergogna”. Pure esigenze di copione, lo spettacolo è cambiato. L'insopportabile affronto è quello di Giorgia Meloni che ieri, dai Fori Imperiali, annuncia: “vado a votare ma non ritiro la scheda, è una delle opzioni”. Il tema è la tornata referendaria dell'8-9 giugno, con quattro consultazioni sul lavoro promosse dalla Cgil e il quesito sulla cittadinanza di +Europa. Il prologo è affidato a Elly Schlein: “Meloni ha paura della partecipazione e di dire la verità che è sotto gli occhi di tutti”. Le fa eco Giuseppe Conte: “Indigna ma non stupisce che Meloni non ritirerà la scheda”. La maggioranza di centrodestra sostiene l'astensione, le opposizioni parlano di attentato alla democrazia. Tutto normale? Non proprio. Le stesse opposizioni che oggi accusano la premier, in passato hanno sostenuto identiche strategie. Paradossalmente, all'interno del Pd diversi riformisti si comporteranno proprio come Giorgia Meloni: Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Giorgio Gori, Marianna Madia, Lia Quartapelle, Filippo Sensi e altri non ritireranno le schede sui quesiti legati al Jobs Act. A rigore, anche loro dovrebbero essere considerati “sabotatori della democrazia”. Non è la prima volta: nel 2016 il Pd rivendicò apertamente l'astensione al referendum sulle trivelle. Chiara Braga, oggi capogruppo alla Camera, allora sosteneva che “i cittadini hanno il diritto di manifestare dissenso con l'astensione”. Oggi invece parla di “presa in giro”. La coerenza sembra evaporare appena cambia il contesto politico. Anche i precedenti storici confermano questa doppia morale. Nell'aprile 2016, durante il governo Renzi, il referendum sulle trivelle non raggiunse il quorum. Dario Parrini, oggi senatore Pd, allora accusava gli organizzatori di cercare pretesti per giustificare il fallimento. Oggi invece si scaglia contro Meloni, parlando di “parole gravi”. Nel 2003, furono proprio i Ds a sostenere l'astensione sul referendum promosso da Rifondazione. Tre anni fa, per i referendum sulla giustizia proposti da Lega e Radicali, fu Repubblica a guidare la campagna per il non voto. L'unico a mantenere una posizione lineare è Luigi Marattin, che difende la scelta di Meloni e dichiara che ritirerà solo la scheda sulla cittadinanza. A chiudere il cerchio, le parole di Giorgio Napolitano: “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione può invalidare il referendum, non andare a votare è una forma legittima di espressione politica”. Una lezione che, nel caos attuale, molti sembrano aver dimenticato.
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